Rientro dei capitali il meglio nemico del bene - QdS

Rientro dei capitali il meglio nemico del bene

Carlo Alberto Tregua

Rientro dei capitali il meglio nemico del bene

mercoledì 12 Marzo 2014

Portare subito a casa 30 mld

Il 24 marzo prossimo il dl 4/14 sul rientro dei capitali deve essere convertito in legge o decadrà. La questione di fare rientrare i capitali degli italiani illecitamente depositati nelle banche degli Stati black list è vecchia come il cucco. Se ne parla da 20 anni, abbiamo sentito pontificare i ministri dell’Economia (Tremonti, Grilli, Saccomanni) nonché i presidenti del Consiglio Berlusconi, Monti e Letta. Tutti hanno spiegato come e perché l’accordo con gli Stati in cui vi erano i depositi degli italiani si sarebbe concluso entro pochi mesi, ma sono passati 20 anni ed esso sembra ancora lontano.
Non solo sono gli Stati fuori dall’Ue a mantenere l’anonimato, ma vi sono tre Stati membri (Austria, Lussemburgo e Montecarlo) che non hanno ancora scoperto i titolari dei conti. è vero che vi sono accordi internazionali sempre più stringenti nei confronti di quegli Stati che non hanno firmato l’accordo dello scambio automatico delle informazioni, ma gli accordi non sono a portata di mano.
L’Italia, se vuol far fronte ai numerosi impegni che ha assunto il giovane Matteo Renzi, deve procurarsi risorse per abbattere il cuneo fiscale (10 mld), l’Irap (10 mld), istituire l’assegno di solidarietà a tutti i cittadini come nella gran parte dei Paesi occidentali (10 mld), aprire i cantieri delle opere pubbliche strategiche e di quelle minori (10 mld), nonché far pagare dalle Pa i debiti verso il sistema delle imprese, oscillanti tra i 70 e gli 80 mld. 
 
I tagli alla spesa pubblica, inefficiente e improduttiva, non potranno dare tutto il gettito necessario. Si rende perciò indispensabile stringere gli accordi con gli Stati ove si ritiene che vi siano ingenti depositi italiani.
Fra essi, le isole Cayman, la Svizzera, il Liechtenstein e altri. A suo tempo la Svizzera ha abbozzato un accordo, denominato Rubik, con la Gran Bretagna a la Germania, ma esso non ha completato il suo iter. In cosa consisteva? Nel far pagare ai depositanti una rilevante cifra fissa, poniamo il 20%, oltre ad un prelievo sui frutti pari alla ritenuta d’acconto che l’Italia effettua sulle cedole (il 20% su quelle ordinarie, il 12,5% sui titoli di Stato). Tutto ciò consentendo, però, il mantenimento dell’anonimato. Tenuto conto che depositi italiani in Svizzera sono stimati nell’ordine di 180 miliardi, per la maggior parte nel Canton Ticino, lo Stato italiano potrebbe incassare entro il corrente anno, se chiudesse l’accordo Rubik, oltre 30 mld.
 
 
Ora, è del tutto evidente che il meglio sarebbe la firma di un accordo per lo scambio automatico delle informazioni in modo che si levasse il velo su tutti coloro che hanno depositato illegittimamente i quattrini in Svizzera.
Ma un accordo di questo genere sarebbe verosimilmente sottoposto, come d’abitudine, ad un referendum. Gli svizzeri sono gelosi delle loro prerogative. Sono riusciti ad attraversare tante guerre restando sempre neutrali, in pace, una sorta di enclave che ha fatto comodo a tutti gli Stati che la circondano.
La Confederation Helvetique ha visto la luce nel 1291 con appena quattro Stati membri, oggi ne somma 26. La sua forza sta proprio in questa volontà di stare al di fuori di qualunque gioco internazionale, ospitando nel contempo tutti e fornendo a qualunque Stato il luogo ove discutere e raggiungere accordi.
Quanto precede potrebbe ragionevolmente far supporre che l’auspicato ed equo accordo sullo scambio automatico delle informazioni potrebbe essere negato dal referendum popolare, passaggio obbligato dell’accordo stesso.  

Come si sa il meglio è nemico del bene, ecco perché il governo Renzi dovrebbe ragionare e prendere questa trentina di miliardi  sui conti degli evasori, nonché un gettito annuo di un paio di miliardi, rimandando nel tempo l’accordo più completo riguardante la conoscenza degli stessi.
A suo tempo il ministro Tremonti fece due operazioni scudate ma i proventi per lo Stato furono irrisori, in quanto l’imposta transattiva fu del 5% più un successivo 1,5%. Entrarono 6 o 7 miliardi ma, se Tremonti avesse fatto l’accordo Rubik, ne potevano entrare 30.
Del senno del poi son piene le fosse. Proprio per questo, oggi, non bisogna commettere lo stesso errore. Prendere tutto il possibile subito, in modo da avere quanto serve per agganciare la ripresa e abbassare le aliquote sui redditi dipendenti, quella del 20 e l’altra del 23%.
Il buon senso deve essere coniugato con il realismo. Crediamo che questo governo, se vorrà fare le cose sulle quali si è impegnato, sia dotato dell’uno e dell’altro.

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