Fiscalità di vantaggio, la chiave per uscire dalla crisi in Sicilia - QdS

Fiscalità di vantaggio, la chiave per uscire dalla crisi in Sicilia

Luca Mangogna

Fiscalità di vantaggio, la chiave per uscire dalla crisi in Sicilia

martedì 25 Marzo 2014

L’ex assessore all’Economia a confronto con Busetta (Fondazione Curella) e Pica (Università Federico II di Napoli). Armao: “Nell’Isola già sperimentate iniziative simili, però bocciate dal ministero all’Economia”

PALERMO – In un sistema economicamente depresso come quello di tutto il Mezzogiorno e della Sicilia, l’unica risorsa per intravedere la ripresa e uscire dal pantano della crisi è quello di sfruttare gli strumenti dell’autonomia finanziaria e della fiscalità di vantaggio. Sono le conclusioni tratte nel corso del convegno, svoltosi nella facoltà di Economia dell’Università di Palermo, dal titolo “La Fiscalità compensativa strumento indispensabile per lo sviluppo del Mezzogiorno”, alla presenza, fra gli altri, del presidente della Fondazione Curella Pietro Busetta, dell’ex assessore regionale Gaetano Armao e di Federico Pica, dell’Università Federico II di Napoli.
Durante i lavori del seminario è stato inoltre presentato il volume “Fiscalità’ di vantaggio: motivazioni ed opportunità”, edito da Liguori Editori, numero 11 della nuova serie “Quaderni della Fondazione Curella”. “È una ricerca – ha detto Busetta – con il contributo di tanti professori delle università italiane, in cui si sta valutando se la possibilità di avere delle fiscalità compensative, rispetto alla situazione di svantaggio che viviamo nei nostri territori, può essere un elemento interessante. In realtà – ha spiegato ancora Busetta – oggi la fiscalità del Mezzogiorno è una fiscalità di svantaggio, perché le imprese da noi pagano di più di quanto non paghino altrove, quindi stiamo parlando di una teoria, al momento non c’è nulla che si sia realizzato. Però – ha concluso – per attrarre investimenti dall’estero nell’area, è importante che vi siano delle fiscalità diverse nelle diverse realtà del Paese”.
È il caso per esempio di quanto avviene in Europa, laddove, secondo un studio pubblicato dal Financial Times sulle zone di maggiore attrattività, le aree più interessanti sono risultate essere quelle della Scozia, della Comunidad Valenciana e della Catalogna, tre regioni  che godono di forte autonomia finanziaria non solo attribuita, come sulla carta dovrebbe avvenire in Sicilia, ma soprattutto esercitata.
“In Sicilia – ha affermato Armao – si sono già sperimentate delle iniziative del genere, con il credito d’imposta sugli investimenti (120 mln di fondi regionali), quindi con le Zone Franche Urbane, e con l’esenzione Irap quinquennale per le imprese giovanili e femminili (l.r. 11/2011) che purtroppo però il ministero dell’Economia non ha mai autorizzato perché vuole una copertura corrispondente alle esenzioni. La fiscalità di vantaggio – ha aggiunto l’ex assessore della Giunta Lombardo – diventa l’unica forma effettiva di attrazione degli investimenti per tutta l’area del Mezzogiorno che conta 21 milioni di abitanti e 6 milioni di disoccupati.
È chiaro che l’incremento all’occupazione non lo danno le cooperative sociali, non lo possono dare le società pubbliche, né il precariato diffuso che si è sviluppato in questi anni, ma lo può dare solo l’economia vera. Purtroppo però – ha concluso – assistiamo alla desertificazione delle imprese e quindi non possiamo che puntare, per crescere, all’attrazione degli investimenti, sfruttando per l’appunto gli strumenti della fiscalità di vantaggio”.
Un monito infine è arrivato da Federico Pica, perché il deserto di politiche per il Mezzogiorno rischia di affondare non solo l’area in questione, ma l’intero Paese. “Temo – ha affermato il docente dell’Università Federico II di Napoli – che purtroppo si debba parlare di fiscalità di svantaggio. Quello che succede in questo momento è che il sistema tributario svantaggia pesantemente le regioni più povere e in particolare mi riferisco all’Irap. L’occasione che si è persa, di abbattere nettamente questo tributo, è un’occasione che peserà nel futuro. In realtà si è riconosciuto il problema, ma si dovrebbe fare molto di più, perché – ha concluso – il punto è quello che se non cresciamo, se il sistema Italia non cresce a partire dal Mezzogiorno, moriamo”.

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