Crisi Micron, specchio della Sicilia che perde appeal nell’hi-tech - QdS

Crisi Micron, specchio della Sicilia che perde appeal nell’hi-tech

Rosario Battiato

Crisi Micron, specchio della Sicilia che perde appeal nell’hi-tech

mercoledì 26 Marzo 2014

Etna Valley a rischio, crolla un comparto strategico nei delicati equilibri produttivi dell'Isola. Delocalizzazione in corso, la procedura di mobilità per i lavoratori scadrà il 7 aprile

CATANIA – C’era una volta la Catania ruggente del distretto hi-tech integrato col territorio e in continuità col sistema universitario. L’Etna Valley, adesso, pare invece somigliare sempre più a un sogno interrotto, continuando a perdere pezzi e consegnandosi inerme alla crisi. L’appello dei sindacati e della città è chiaro: bisogna salvare questa oasi ad alta tecnologia, caso pressoché unico nel sistema economico siciliano. L’ultimo scorcio della caduta è raccontato dalla vicenda Micron a un paio di settimane di distanza dalla scadenza della procedura di mobilità prevista per il 7 aprile.
Non ci sono soltanto settori tradizionali nel grande calderone dalla crisi isolana. Così se l’ex polo Fiat di Termini Imerese, i cantieri navali, le raffinerie, costituiscono l’ossatura della “vecchia” industria siciliana che fatica, o sta fuori, dal mercato, la vertenza Micron, al contrario, ricorda a tutti che il periodo negativo per l’economia, e il rischio delocalizzazione, abbraccia anche i lavoratori altamente professionalizzati che operano nel settore microelettrico.
In un incontro della scorsa settimana, dopo la comunicazione che St non sarebbe interessata all’assunzione degli esuberi della Micron, si è appreso che la multinazionale statunitense ha ulteriormente aggiornato il piano di mobilità varato il 20 gennaio del 2014 presso il ministero dello Sviluppo economico che riguarda 420 lavoratori, pari al 40% del totale degli occupati in Italia. In dettaglio, la nuova definizione, farebbe ricollocare 25 unità a Catania facendo scivolare il numero degli esuberi da 127 a 102 (sono complessivamente 324 gli occupati) e prevedendo inoltre un piano complessivo di investimenti da poco più di 21 milioni di euro, due dei quali andranno a potenziare lo stabilimento etneo.
 
Nei giorni scorsi, inoltre, l’azienda si è impegnata ad assicurare la copertura finanziaria per altri 18 mesi, anche se i sindacati, il governo della città e l’assessorato regionale alle Attività produttive lavorano per una soluzione migliore. Se ne discuterà nuovamente nell’incontro del primo aprile che si terrà al ministero del Lavoro a Roma.
La crisi dell’area ha radici lontane. Nel 2005 erano addirittura 159 le aziende del polo tecnologico catanese. Negli anni scorsi sono scese ben al di sotto del centinaio, un crollo di oltre il 40% del totale. Scenari di un sistema che sta lentamente perdendo appeal e ricavi: nel 2005 i dati del patto per lo sviluppo del distretto riportano un fatturato di circa 310 milioni di euro (senza St) mentre appena sette anni dopo si è arrivati a circa 170 milioni (1,5 miliardi con St). I sindacati hanno scritto anche al premier Renzi per chiedere un incontro urgente per non perdere occupazione in un settore strategico e ad altissima specializzazione come quello microelettrico, in grado di fornire valore aggiunto all’economia siciliana e nazionale.
La questione è delicata perché il Paese non vanta una grande tradizione nel settore ad alta tecnologia. Lo dicono i dati Istat che piazzano l’Italia al quindicesimo posto europeo per addetti alla ricerca e sviluppo. L’apporto delle risorse umane all’economia della conoscenza fa riferimento al numero di addetti impegnati nelle attività di ricerca e sviluppo (R&S). In Italia, nel 2011, si rilevano 3,8 addetti alla R&S ogni mille abitanti (nel 2010 erano 3,7). La Sicilia riesce persino a battere la media nazionale scivolando a quota 1,7, un dato superiore soltanto a Calabria, Puglia, Campania e Molise.

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