Carceri, oltre la ragionevole pena. Diritto alla salute negato in Sicilia - QdS

Carceri, oltre la ragionevole pena. Diritto alla salute negato in Sicilia

Chiara Borzi

Carceri, oltre la ragionevole pena. Diritto alla salute negato in Sicilia

venerdì 28 Marzo 2014

Fleres (ex garante diritti detenuti nell’Isola): “Più di 100 persone muoiono ogni anno per le cattive condizioni fisiche”. Nella nostra regione il 30% dei reclusi è tossicodipendente e il 10% ha problemi psichici

Palermo – È da considerarsi una pena occulta, condizione scarsamente riscontrabile se non attraverso una forte volontà di accostamento al problema. Il diritto della salute è leso all’interno delle carceri italiane e, senza esclusione, in quelle siciliane. Ciò accade oggi in assenza di un’azione che vada oltre la denuncia. I tempi di adeguamento delle istituzioni sono biblici e frenati dalle scarse risorse disponibili. è grazie all’ultimo studio condotto dalla Simpe (società italiana di medicina penitenziaria) che emerge nuovamente il problema del diritto alla salute nelle carceri. Diritto così scarsamente tutelato da far oggi registrare un 60-80 per cento di popolazione carceraria affetta da qualche malattia.
Qual è la condizione siciliana? Il QdS ha posto questa domanda all’ex garante dei detenuti siciliani Salvo Fleres, distintosi quando in carica per un’azione apprezzata dagli stessi detenuti isolani.
L’incontro organizzato a Roma dalla Simpe (Società italiana di medicina penitenziaria) ha fatto emergere l’ennesima violazione di diritto nei confronti dei detenuti. Ad essere violato è ora il diritto alla salute. A riguardo qual è la situazioni nelle carceri siciliane?
“Anche nelle carceri siciliane la situazione sanitaria non è delle migliori. Ma, a differenza di quanto accade nelle altre Regioni d’Italia, in Sicilia la sanità penitenziaria è ancora in carico al Ministero della Giustizia poiché, il Decreto ministeriale del 2008, relativo proprio al passaggio della sanità penitenziaria al Ssn, non è ancora stato recepito. In realtà, al di là dei dati emersi nel corso del convegno organizzato dal Simpe, la sanità all’interno delle strutture penitenziarie è sempre stata molto carente, alle volte addirittura assente. È chiaro che il sovraffollamento agevola gli eventuali contagi ma è anche vero che l’assenza di un’adeguata assistenza medica peggiora le patologie di cui molti detenuti sono affetti, per non parlare poi dei ritardi nell’effettuazione dei ricoveri ospedalieri per esami clinici o per interventi chirurgici. Ma quel che è peggio è che, alle volte, non è possibile effettuare i ricoveri perché il personale di Polizia penitenziaria, personale anch’esso carente, è impegnato in altre attività, dunque, il detenuto deve attendere. Infine, un altro problema è legato ai numerosi trasferimenti che nel corso della detenzione interessano i singoli reclusi. Infatti, non sempre la cartella clinica segue tempestivamente il soggetto trasferito, questo comporta la mancata somministrazione di terapie o di eventuali controlli peggiorandone notevolmente il quadro clinico”.
Quali sono i rischi che il detenuto corre in Sicilia?
“Come dicevo prima, un rischio molto serio è quello legato alla mancata tempestività nell’effettuazione dei controlli o l’insorgere di complicazioni rispetto a situazioni sanitarie già esistenti. In generale, più di cento detenuti l’anno perdono la vita nelle carceri italiane, oltre, purtroppo, alle morti per suicidio. Tutto questo accade al di là di quanto stabilito all’art. 1 del decreto legislativo 230/99 relativo al riordino della sanità penitenziaria, che stabilisce la parità di trattamento tra i detenuti ed i cittadini in stato di libertà. La realtà è che nel tempo le risorse finanziarie destinate alla salute dei detenuti sono andate sempre più assottigliandosi e, conseguentemente, non possono essere garantiti standard di assistenza sufficienti”.
Quali sono le malattie che più possono essere contratte nelle carceri siciliane?
“Da questo punto di vista la Sicilia non si differenzia dalle altre Regioni. I tossicodipendenti rappresentano circa il 30% della popolazione detenuta, mentre, circa il 10% ha problemi di natura psichiatrica. Vi sono poi diverse malattie infettive, le più comuni sono l’epatite C e l’HIV. Per fortuna, sono rari i casi di Tbc”.
Sondare il campo in merito, fornendo stime e percentuali, non è facile. Si teme che i dati nazionali siano approssimativi. Lo stesso può dirsi per la Sicilia?
“I dati sono approssimativi perché l’Amministrazione Penitenziaria non è molto propensa a fornire le stime, più volte e in diverse circostanze richieste. Ma vi è anche un’ulteriore problematica che non consente di poter fornire dati certi ed è legata al fatto che molti reclusi sono affetti da più patologie rendendo difficile la predisposizione dei dati”.
Ci sono speranze per un miglioramento futuro del quadro regionale attuale? Se sì, quali azioni possono rivelarsi determinanti nell’immediato?
“Sono diverse le azioni che possono migliorare il quadro attuale e si ricollegano con il più ampio ragionamento riguardante il riordino dell’intero ‘pianeta carceri’. Innanzitutto, occorre diminuire la popolazione penitenziaria attraverso un maggior ricorso alla pene alternative ed auspicando un minor utilizzo della carcerazione preventiva; bisognerebbe dotare gli ospedali, almeno quelli nei comuni in cui hanno sede le strutture penitenziarie, di un apposito reparto destinato ai reclusi; è auspicabile un incremento della dotazione finanziaria per consentire agli istituti penitenziari di poter disporre per un maggior numero di ore di medici specialistici e per garantire un approvvigionamento costante e vario di medicinali; bisognerebbe evitare che soggetti molto malati continuino a scontare la pena in carcere anche quando la loro pericolosità è praticamente inesistente. Queste sono alcune tra le tante azioni che potrebbero essere poste in essere e che certamente migliorerebbero di gran lunga la situazione sanitaria all’interno delle carceri”.

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