Operativo il domicilio digitale facoltativo - QdS

Operativo il domicilio digitale facoltativo

redazione

Operativo il domicilio digitale facoltativo

venerdì 11 Aprile 2014

Eventuali comunicazioni della Pa in altro domicilio (ad esempio a casa) non potranno produrre effetti pregiudizievoli. In attesa dei decreti attuativi per renderlo obbligatorio, molti cittadini si sono dotati di Pec

L’art. 14 del DL 21.6.2013 (come convertito con modificazioni dalla legge 9 Agosto 2013 n° 98) intitolato “Misure per favorire la diffusione del domicilio digitale”, prevede l’avvio del progressivo rilascio ed attribuzione a tutti i cittadini della casella di posta elettronica certificata. Le modalità concrete ed operative di tale importante innovazione verranno stabilite con un decreto del Ministro dell’interno di prossima emanazione.
Il domicilio digitale assegnato al cittadino dovrebbe poi essere inserito nell’Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR) e reso disponibile a tutte le pubbliche amministrazioni e ai gestori o esercenti di pubblici servizi. L’ANPR, istituita dall’art. 2 del D.L. 179/2011 che ha disposto l’accorpamento in un’unica anagrafe del sistema anagrafico precedentemente strutturato in quattro partizioni (Indice nazionale delle anagrafi-INA, anagrafe comunale, AIRE centrale e AIRE comunale), non è ancora di fatto entrata a regime in assenza dell’adozione dei previsti decreti attuativi.
Sicchè, mentre la generalizzata predisposizione di un domicilio digitale obbligatorio (ossia automaticamente assegnato al cittadino in sedi rilascio del cd “documento digitale unificato) deve ancora trovare attuazione (ma gli auspici del governo Renzi in tema di digitalizzazione lasciano ben sperare), è già sostanzialmente operativo e vigente il cd domicilio digitale “facoltativo”, già previsto dall’art. 3-bis del D. Lgs. 82/2005.
Nel frattempo sono comunque già centinaia di migliaia i cittadini che si sono già dotati di una propria casella di posta elettronica certificata (che com’è noto in virtù delle modalità tecniche dell’acquisizione e conservazione dei messaggi, con le connesse certificazioni attestate dal gestore, assume un valore legale probatorio equivalente al proprio domicilio fisico).
Ci si chiede a questo punto quali siano i vantaggi, e gli eventuali diritti, che scaturiscano dal possesso di una caselle di posta elettronica certificata.
Tali diritti possono rinvenirsi nell’art 3 bis del D.Lgs. 7-3-2005 n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale) che così recita:
1. l fine di facilitare la comunicazione tra pubbliche amministrazioni e cittadini, è facoltà di ogni cittadino indicare alla pubblica amministrazione, secondo le modalità stabilite al comma 3, un proprio indirizzo di posta elettronica certificata………. quale suo domicilio digitale.
2. L’indirizzo di cui al comma 1 è inserito nell’Anagrafe nazionale della popolazione residente-ANPR e reso disponibile a tutte le pubbliche amministrazioni e ai gestori o esercenti di pubblici servizi.
3. Con decreto del Ministro dell’interno,………… sono definite le modalità di comunicazione, variazione e cancellazione del proprio domicilio digitale da parte del cittadino, nonché le modalità di consultazione dell’ANPR da parte dei gestori o esercenti di pubblici servizi ai fini del reperimento del domicilio digitale dei propri utenti.
4. A decorrere dal 1° gennaio 2013, salvo i casi in cui è prevista dalla normativa vigente una diversa modalità di comunicazione o di pubblicazione in via telematica, le amministrazioni pubbliche e i gestori o esercenti di pubblici servizi comunicano con il cittadino esclusivamente tramite il domicilio digitale dallo stesso dichiarato, anche ai sensi dell’articolo 21-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, senza oneri di spedizione a suo carico. Ogni altra forma di comunicazione non può produrre effetti pregiudizievoli per il destinatario. L’utilizzo di differenti modalità di comunicazione rientra tra i parametri di valutazione della performance dirigenziale ai sensi dell’articolo 11, comma 9, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150.
La scelta del “domicilio digitale” è quindi libera da parte del cittadino.
L’art. 14 del DL 21.6.2013, potrà quindi:
– individuare, per i cittadini che ne verranno in possesso, un domicilio digitale;
– aggiungere, per i cittadini che già ne hanno uno, un ulteriore domicilio digitale.
L’art. 3 bis .4 prevede inoltre che il domicilio digitale acquisti rilevanza legale esclusiva ai fini del dialogo tra cittadino ed amministrazione, concetto rafforzato dall’espressione “Ogni altra forma di comunicazione non può produrre effetti pregiudizievoli per il destinatario”.
Come tutti sanno il principale effetto che un “domicilio” produce è quello di esser il luogo ove poter eseguire validamente comunicazioni e notificazioni, da cui decorrono vari termini (sostanziali e processuali) di reazione del cittadino in ordine ai contenuti dell’atto che riceve (interruzione della prescrizione, opposizioni, impugnazioni, etc.).
Sicchè, se un cittadino ha comunicato alla P.A. il proprio domicilio digitale, significa che ha scelto quel domicilio per ogni forma di comunicazione o notificazione.
Ne consegue, che eventuali comunicazioni della P.A. in altro domicilio (esempio a casa) non potranno produrre effetti pregiudizievoli, pur non potendosi ritenere totalmente invalidi, posto che la norma non prevede una sanzione di nullità assoluta per tale violazione.
Si potrebbe ad esempio poter sostenere che la notifica di un provvedimento amministrativo al domicilio fisico non potrà realizzare quella conoscenza legale da cui far decorrere il termine d’impugnazione.
Il condizionale è d’obbligo, poiché c’è il rischio che il Giudice amministrativo possa ritenere che comunque la piena conoscenza in capo al destinatario si è realizzata.
Quel che pare più sicuro invece, ad avviso degli scriventi, è che quelle forme di comunicazione o notificazione che si perfezionano per “compiuta giacenza” di un avviso mandato a mezzo posta al domicilio fisico dove non è stato rinvenuto il destinatario, non produrrà alcun effetto.

“Le amministrazioni pubbliche incentivano l’uso della telematica” (art. 3 bis L. 241/90)

Si dovrà quindi distinguere (forse, ma il tema è tutto da esplorare) tra effetti derivanti dalla mera conoscenza del contenuto dell’atto (che può anche aversi “aliunde” per l’esistenza di atti incompatibili con la mancata conoscenza: Es. io stesso contesto il provvedimento o la multa con un esposto, dimostrando di conoscerne perfettamente il contenuto), ed effetti costitutivi della ricezione dell’atto (es: decorrenza del termine per effettuare un pagamento).
La norma si presta comunque ad un interpretazione estensiva, poiché pare evidente la valenza “punitiva” che intende arrecare alla responsabilità personale dei funzionari della P.A. che ne violino l’applicazione, oltre al rispetto della buona fede del cittadino ed all’accrescimento dell’efficienza nel rispetto dei parametri di buon andamento contenuti all’art 97 Cost. In tal senso depone anche l’art 3 bis delle legge 241/90 secondo cui “Per conseguire maggiore efficienza nella loro attività, le amministrazioni pubbliche incentivano l’uso della telematica, nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i privati.”
 


 
Denunce, istanze, atti, versamenti e richieste il cittadino può farli per Posta elettronica certificata

In altri e concreti termini: la norma sembra voler dire al cittadino che, poiché le comunicazioni avverranno in forma digitale, egli dovrà d’ora in poi preoccuparsi solo di consultare diligentemente la PEC, senza più preoccuparsi delle decine di avvisi cartacei che giungono a casa, poiché da essi nessun pregiudizio potrà derivarne.
Ma da qui a sostenere l’assoluta radicale nullità della comunicazione cartacea – come da qualcuno sostenuto – il passaggio non è così semplice: l’atto rimane valido e la comunicazione “non digitale” non può produrre effetti pregiudizievoli, ma neanche arrecare vantaggi al cittadino (sicchè forse non potrebbe per questa via sostenersi la nullità di contestazioni o l’estinzione di obbligazioni per decadenza di atti che vanno compiuti dalla P.A.).

Un ulteriore tassello a sostegno dell’obbligatorietà ed esclusività dell’utilizzo del domicilio digitale può argomentarsi tuttavia dall’art 63 del Codice dell’Amministrazione digitale “CAD”, ove si prevede al comma 3 bis che “A partire dal 1° gennaio 2014, allo scopo di incentivare e favorire il processo di informatizzazione e di potenziare ed estendere i servizi telematici, i soggetti di cui all’articolo 2, comma 2 (e cioè le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché le società interamente partecipate da enti pubblici o con prevalente capitale pubblico inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione) “utilizzano esclusivamente i canali e i servizi telematici, ivi inclusa la posta elettronica certificata, per l’utilizzo dei propri servizi, anche a mezzo di intermediari abilitati, per la presentazione da parte degli interessati di denunce, istanze e atti e garanzie fideiussorie, per l’esecuzione di versamenti fiscali, contributivi, previdenziali, assistenziali e assicurativi, nonché per la richiesta di attestazioni e certificazioni.”
Ed il successivo comma 3-ter del medesimo art. 63 del CAD ribadisce che “A partire dal 1° gennaio 2014 i soggetti indicati al comma 3-bis utilizzano esclusivamente servizi telematici o la posta elettronica certificata anche per gli atti, le comunicazioni o i servizi dagli stessi resi”
Quindi pare che gli strumenti normativi per rendere assolutamente cogente il rispetto della norma ci siano tutti.
Affinchè la P.A. sia però obbligata al rispetto di tale norma bisogna comunicare l’indirizzo digitale nelle forme previste dal comma 3 dell’art 3 bis del CAD.
Qui va fatta una distinzione:
a) Quando l’indirizzo digitale verrà comunicato istituzionalmente ai sensi del comma 3 (previa emanazione del decreto d’Attuazione), produrrà ad avviso dello scrivente lo stesso effetto di una modifica generale della propria residenza o domicilio, che ha valore erga omnes per tutte le amministrazioni pubbliche;
b) In mancanza, si deve però ammettere la possibilità che il cittadino comunichi ad una specifica amministrazione il suo indirizzo digitale (ad esempio io posso comunicarlo al Comune di……….. e da quel momento posso pretendere che le comunicazioni provenienti da quell’ente vengano fatte in forma digitale.
A conferma, sul sito del Ministero della funzione pubblica si legge espressamente quanto segue “Il cittadino può dichiarare alla pubblica amministrazione una casella di posta elettronica certificata quale proprio domicilio digitale. Tutte le amministrazioni dovranno comunicare con il cittadino esclusivamente tramite il domicilio indicato. In questo modo si potranno eliminare, ad esempio, i viaggi all’ufficio postale per il ritiro di una raccomandata inviata da un pubblica amministrazione” (http://www.funzionepubblica.gov.it/si/semplifica-italia/tutti-gli-interventi/domicilio-digitale-del-cittadino.aspx)
Carmelo Barreca e Silvio Motta

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