Un'ombra al comando, la storia discreta di Marcello Dell'Utri - QdS

Un’ombra al comando, la storia discreta di Marcello Dell’Utri

redazione

Un’ombra al comando, la storia discreta di Marcello Dell’Utri

venerdì 11 Aprile 2014

Ripercorriamo a grandi tappe le vicende di uno degli uomini più influenti degli ultimi decenni. Dall'invenzione di Forza Italia fino agli scandali giudiziari e alla recente latitanza.  

Il profilo Palermitano, 72 anni, collezionista di libri antichi, senatore pdl condannato in primo grado e in appello per i suoi presunti legami con la mafia, latitante da pochi giorni alla vigilia del processo in Cassazione, amico e braccio destro di Silvio Berlusconi sin da quando il Cavaliere era un giovane imprenditore che si affacciava nel mondo degli affari, indicato dalla Suprema Corte come mediatore tra Cosa nostra e l’ex premier, da pochi giorni latitante all’estero, Marcello Dell’Utri è un personaggio chiave del cerchio magico berlusconiano. Riservato e misterioso, Dell’Utri da venti anni rifugge i riflettori e opera dietro le quinte della grande macchina del partito di Berlusconi: per lui mai un incarico di governo, mai un ministero o un posto da coordinatore, nonostante il suo ruolo decisivo nella nascita di Forza Italia nel 1993. Non che Dell’Utri non sia abituato a comandare.
 
I ruoli del comando Nella sua carriera professionale è stato numero uno di Publitalia e amministratore delegato di Finivest. Sarà che, come ha confessato in un’intervista mai smentita, a lui della politica attiva "non frega niente" e se si è fatto convincere a diventare deputato è stato solo per fronteggiare le inchieste, per "legittima difesa": effettivamente il suo ingresso alla Camera risale al 1996, anno in cui parte il primo atto del processo per concorso esterno alla mafia arrivato ora al giudizio della Cassazione. Di Dell’Utri Berlusconi si è sempre fidato ciecamente: forse solo Fedele Confalonieri può vantare un rapporto ancora più consolidato con il Cavaliere. Fu proprio il fedelissimo Dell’Utri l’uomo che gli organizzò, praticamente dall’oggi al domani, il partito con cui avrebbe vinto le elezioni del 1994. All’epoca numero uno della concessionaria pubblicitaria delle reti Mediaset, fu Dell’Utri a reclutare dentro Publitalia il primo nucleo di "azzurri" : tra gli altri Gianfranco Miccichè, Giancarlo Galan, Enzo Ghigo, Aldo Brancher, Antonio Martusciello, tutti giovani dirigenti alle sue dipendenze. La rete degli agenti di Publitalia, diffusa capillarmente in tutte le regioni, servì perfettamente a diffondere il progetto berlusconiano. Fu sempre Dell’Utri a occuparsi delle candidature per le elezioni del 1994, sottoponendo i futuri candidati a provini davanti a una telecamera per testarne le capacità comunicative.
 
Lo stalliere di Arcore Nasceva, sotto la sua regia, quello che il centrosinistra ha sempre bollato come il "partito-azienda", un "unicum" nella politica italiana. Il sodalizio con Berlusconi data dai primi anni sessanta, quando Dell’Utri arriva a Milano, giovane siciliano di belle speranze, per studiare Giurisprudenza. Dopo una decina di anni durante i quali si fa le ossa lavorando in vari istituti bancari in Sicilia, e nel 1974 lo ritroviamo a Milano alla Edilnord, voluto da Berlusconi. Risale a questo periodo l’episodio che più di tutti ha segnato la sua immagine: è proprio Dell’Utri, il sette luglio del 1974, a portare nella villa che Berlusconi ha da poco comprato ad Arcore, il mafioso Vittorio Mangano, che viene assunto come "stalliere": Dell’Utri si è sempre difeso sostenendo di non aver mai saputo nulla dei rapporti di Mangano con le cosche. Senza misurare troppo le parole, il senatore è arrivato a definire l’ex stalliere di Arcore "un eroe", perché in carcere "è stato ripetutamente invitato a fare dichiarazioni contro Berlusconi e contro di me ma non lo ha fatto, anche se lo avrebbero scarcerato con lauti premi". Giudizio che ha scatenato mille polemiche ma che è stato avallato da Silvio Berlusconi: "Ha detto bene Dell’Utri" perché "eroicamente Mangano non inventò niente contro di me".
 
La vicenda giudiziaria Una storia lunga quasi 20 anni: cominciata nel 1994 con l’iscrizione nel registro degli indagati per concorso in associazione mafiosa, passata per due condanne pesanti, un annullamento con rinvio da parte della Cassazione, una nuova condanna nell’appello-bis a sette anni di reclusione. Ora, alla vigilia del nuovo processo in Cassazione, Marcello Dell’Utri ha scelto la latitanza all’estero. Queste le tappe del procedimento: a due anni dall’avvio dell’inchiesta, il 26 novembre del 1996, comincia l’udienza preliminare. Marcello Dell’Utri è accusato di collusioni trentennali con pezzi da Novanta di Cosa nostra e di avere garantito a Silvio Berlusconi, che in cambio avrebbe pagato fior di milioni, la protezione delle cosche. L’ex politico va a giudizio. Il 5 novembre del 1997, davanti al tribunale, presieduto da Leonardo Guarnotta, parte il processo di primo grado. Vengono celebrate 253 udienze e sentiti oltre 270 testi. L’11 dicembre del 2004 Dell’Utri viene condannato a 9 anni di carcere. Nel 2006 comincia il processo di secondo grado: la corte, presidente Claudio dall’Acqua, riapre l’istruttoria dibattimentale e sente tra gli altri l’allora neopentito Gaspare Spatuzza. Il collaboratore racconta in aula le confidenze ricevute dal boss Giuseppe Graviano che, nel ’94, gli riferisce, raggiante, di avere il Paese nelle mani grazie ai suoi rapporti con Dell’Utri e Silvio Berlusconi. Il 29 giugno del 2010, dopo 117 ore di camera di consiglio, la corte condanna Dell’Utri a 7 anni, ma esclude che il manager abbia mantenuto rapporti coi clan dopo il ’92. Il 9 marzo del 2012 la Cassazione annulla con rinvio la sentenza ed evidenzia alcune lacune nella motivazione. I giudici romani ripassano la palla alla corte d’appello di Palermo chiamata a rivalutare le condotte dell’imputato tra il 1977 e il 1992. Passa in giudicato, invece, l’assoluzione per le accuse successive al ’92.
 
Il nuovo processo d’appello Parte il 18 luglio del 2012, lo stesso giorno in cui Dell’Utri apprende che i pm di Palermo lo indagano per estorsione ai danni di Berlusconi: l’inchiesta sarà poi trasferita per competenza a Milano dalla Cassazione. Arriva una nuova condanna a sette anni per concorso in associazione mafiosa: i giudici ritengono Dell’Utri non un semplice trait d’union, ma un vero e proprio ”mediatore contrattuale” del patto di protezione tra Berlusconi da una parte e Cosa nostra dall’altra. Almeno dal 1974 al 1992 (per il periodo successivo Dell’Utri e’ stato assolto dall’accusa di mafia in via definitiva). Martedì prossimo, con Dell’Utri all’estero in attesa di conoscere il suo destino, la Cassazione, investita dai difensori dell’imputato, dovrà pronunciarsi ancora una volta sulla vicenda: potrebbe chiuderla – in questo caso la condanna di Dell’Utri diventerà definitiva e l’ex senatore, se tornerà in Italia, dovrà scontare la pena – o riaprirla di nuovo, disponendo un altro processo: sarebbe l’appello-ter.
 
La latitanza Sono state attivate – a quanto si apprende – le procedure per le ricerche a livello internazionale di Marcello Dell’Utri. La richiesta in tal senso è stata inoltrata dalla procura generale di Palermo e ha poi seguito l’iter di routine attraverso gli uffici amministrativi del ministero della Giustizia.
 
La telefonata "Il programma è quello di andarsene in Libano perché lì è una città dove Marcello ci starebbe bene perché lui c’è già stato la conosce, c’è un grande fermento culturale… per lui andrebbe bene". Così, parlando con il suo interlocutore Vincenzo Mancuso, non sapendo di essere intercettato, Alberto Dell’Utri, a novembre scorso, avrebbe svelato il piano di fuga del familiare. L’intercettazione è riportata nella ordinanza di custodia cautelare con cui la corte d’appello ha disposto il carcere per l’ex politico che è ora latitante. Alberto Dell’Utri avrebbe rivelato al suo commensale – la conversazione è stata captata nel ristorante Assunta Madre di Roma – che Marcello Dell’Utri a fine ottobre aveva pranzato con "un politico importante del Libano che è stato presidente e che adesso si candida alle prossime elezioni". La presenza nello Stato arabo di Dell’Utri sarebbe provata anche dal fatto che una sua utenza telefonica è stata localizzata nelle vicinanze di Beirut il 3 aprile scorso. Per la corte è quindi "emerso con tutta evidenza che l’imputato intende lasciare l’Italia con la massima urgenza per recarsi a Beirut e ciò al fine di sottrarsi all’esecuzione della sentenza" della Cassazione che potrebbe confermare la condanna dell’ex manager di Publitalia a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
 
La comunicazione "Tengo a precisare – dice in una nota all’ANSA Dell’Utri – che non intendo sottrarmi al risultato processuale della prossima sentenza della Corte di Cassazione; e che trovandomi in condizioni di salute precaria – per cui tra l’altro ho subito qualche settimana fa un intervento di angioplastica – sto effettuando ulteriori esami e controlli".

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