Partecipate, carrozzoni senza Piano industriale - QdS

Partecipate, carrozzoni senza Piano industriale

Carlo Alberto Tregua

Partecipate, carrozzoni senza Piano industriale

martedì 15 Luglio 2014

Perdono in un anno 26 miliardi di euro

Il commissario per la Riduzione della spesa pubblica, Carlo Cottarelli, insieme al neo presidente dell’Anac (l’autorità che riunisce la funzione di lotta alla corruzione e di sorveglianza sugli appalti pubblici), Raffaele Cantone, hanno inviato una lettera a tutti gli Enti locali e ai ministeri per invitarli perentoriamente a conformarsi ai prezzi non superiori a quelli Consip o comunque di mercato.
La loro attenzione è puntata sull’acquisto di beni e servizi delle Pubbliche amministrazioni, che dovrebbe portare forti risparmi, efficienza e trasparenza.
L’azione dei due funzionari è però più concentrata sulle diecimila partecipate pubbliche, che nel 2013 hanno riportato perdite per oltre 26 miliardi di euro, come ha più volte indicato la Corte dei Conti.
Com’è noto, le partecipate pubbliche sono state costituite da Stato, Regioni e Comuni, nonché dalle ex Province, con scopi meramente clientelari, perché essendo società di diritto privato (normalmente Srl o Spa) non avevano i vincoli delle leggi sulle Pa, in particolare per le assunzioni, che sono state fatte quasi sempre per accontentare i clientes.

Mai qualcuno è entrato in una partecipata pubblica mediante concorso, ma con selezioni interne o a chiamata diretta. Quale poteva essere il criterio di scelta? Nient’altro che la raccomandazione di questo o quel politicante, di questo o quel partitocrate, di questo o quel burocrate. Cosicché le diecimila partecipate pubbliche hanno in pancia forse un milione di dirigenti e dipendenti senza alcun collegamento con il Piano industriale.
È noto che un’impresa, prima ancora di aprire i battenti, deve redigere il suo Piano industriale. è altrettanto noto che un Ente pubblico, che ovviamente non ha scopo di lucro, deve redigere il Piano aziendale. Senza questi strumenti, che hanno valenza organizzativa, finanziaria, economica, e riguardano ogni aspetto dell’azienda pubblica o privata, l’inefficienza regna sovrana e le perdite di esercizio o i disavanzi non possono che manifestarsi in maniera sensibile.
Chi pagherà tali perdite? Ovviamente gli azionisti, in questo caso gli Enti pubblici.

 
Va da sé che non si deve mai sparare nel mucchio, in quanto vi sono parecchie partecipate pubbliche che invece guadagnano perché sono efficienti e, vedi caso, rendono un buon servizio ai cittadini. Infatti, la perdita di 26 miliardi del 2013 è la somma algebrica fra le perdite e gli utili delle stesse.
Ventisei miliardi sono quasi due punti di Pil, una manovra. Se le diecimila partecipate, tolte quelle in attivo, fossero state gestite da professionisti, capaci e onesti, con criteri aziendali, i bilanci pubblici sarebbero positivi. E se così si fosse verificato, avrebbero potuto finanziare investimenti, infrastrutture, opere pubbliche e simili mettendo in moto centinaia di migliaia di posti di lavoro. È noto a tutti, infatti, che per ogni miliardo di investimenti in opere pubbliche e infrastrutture si attivano 6/8 mila posti di lavoro.
Le perdite indicate dalla Corte dei Conti sono frutto di inefficienza, incapacità e corruzione, perchè beni e servizi sono stati pagati più del loro valore intrinseco. la differenza è andata in mazzette e superguadagni di chi li ha forniti.

L’eccesso di personale e la sua modesta qualità ha squilibrato i conti di ogni partecipata, senza contare che ognuna di esse ha un Consiglio di amministrazione con membri inadatti alla loro funzione e Collegi dei revisori acquiescenti che non segnano con un veto i comportamenti inqualificabili di chi amministra e di chi gestisce le partecipate.
Vi è una serie di convenienze che tengono insieme Enti pubblici, come matrici, e le loro partecipate come figlie. Sono uniti gli interessi di politici, amministratori, burocrati, dipendenti, sindacalisti e fornitori.
Ma se sono tutti contenti, dove sta l’inghippo? Presto a dirlo: i danneggiati sono i cittadini, che non hanno voce e pagano un’enormità di balzelli per mantenere questi baracconi e privilegiati.
L’interesse dei pochi prevale su quello di tutti: un’iniquità divenuta insopportabile e intollerabile, che va  eliminata al più presto.

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