Centri antiviolenze, polverone di polemiche sui finanziamenti - QdS

Centri antiviolenze, polverone di polemiche sui finanziamenti

Antonia Cosentino

Centri antiviolenze, polverone di polemiche sui finanziamenti

mercoledì 16 Luglio 2014

L.119/13: sussidi soprattutto agli enti istituzionali contrariamente alla Convenzione di Istanbul. Solo 3.000 € all’anno agli istituti che lavorano in regime di volontariato

PALERMO – Solo 3.000 euro all’anno per due anni: è questa la cifra che il Governo ha deciso di assegnare agli storici Centri antiviolenza e Case Rifugio che lavorano da decenni in regime di volontariato.
Cifre irrisorie, che non serviranno neanche a pagare le bollette, secondo quanto denuncia l’Associazione DiRe (Donne in Rete contro la violenza). Una scelta criticata da più parti, se si pensa all’importanza che i centri assumono nel contrasto alla violenza di genere e l’aiuto concreto che garantiscono a tutte le donne in cerca di autonomia e libertà. La legge 119/2013, meglio conosciuta come Decreto Femminicidio, in realtà prevede lo stanziamento di 17 milioni di euro, che però andranno quasi interamente alle Regioni. Esclusi i 2.260.000 euro ripartiti per circa 6.000 euro cadauno ai 352 Centri antiviolenza e Case rifugio, la somma restante verrà distribuita a discrezione delle singole Regioni a progetti sulla base di bandi.
Una scelta che contravviene alla Convenzione di Istanbul , firmata dal Governo italiano più di un anno fa e in vigore dal prossimo 1 agosto, che all’articolo 8 prevede lo stanziamento di “adeguate risorse finanziarie e umane per la corretta applicazione delle politiche integrate, misure e programmi per prevenire e combattere tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione, incluse quelle svolte da organizzazioni non governative e dalla società civile”.
Inoltre, saranno finanziate soprattutto reti di carattere istituzionale, contro quanto affermato dalla Convenzione che privilegia il lavoro dei centri di donne indipendenti. Circa 5 milioni andranno, invece, a favore dell’apertura di nuove realtà. Il timore al riguardo è che nascano strutture esclusivamente per accaparramento del finanziamento, senza competenze, formazione, metodologia. Aprire un Centro antiviolenza, richiede, infatti, un percorso particolare, proprio per l’estrema difficoltà di gestione di un fenomeno come quello della violenza di genere, complesso, molto diffuso e dagli effetti devastanti.
“Il Governo non ha sino ad oggi neppure formulato un Piano nazionale antiviolenza, – denuncia l’Associazione DiRe in un comunicato – e si presenta in Europa senza avere intrapreso un confronto politico serio con tutte coloro che lavorano da oltre 20 anni sul territorio, offrendo politiche e servizi di qualità per prevenire e contrastare il fenomeno della violenza sulle donne”.

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