L’America vola, l’Argentina fallisce - QdS

L’America vola, l’Argentina fallisce

Carlo Alberto Tregua

L’America vola, l’Argentina fallisce

mercoledì 06 Agosto 2014

I debiti distruggono il futuro

Dopo appena 13 anni, la Repubblica Argentina, giovedì 30 luglio alle ore 6, non ha pagato i suoi Tango bond e ne è stato dichiarato il default, cioè il fallimento. Chi è causa dei suoi mal…
In quella ricchissima nazione, nove volte più grande dell’Italia ma con appena 40 milioni di abitanti, una Classe dirigente corrotta e incapace, che concentra le ricchezze in meno del 10 per cento della popolazione, mantiene il restante 90 per cento in condizioni economico-sociali disastrose.
María Eva Duarte, conosciuta meglio come Evita Peron, divenne la beniamina dei descamisados, anche se la sua azione era più demagogica che effettiva perché non scalfì di una virgola la struttura apicale del Paese, in cui restarono le enormi differenze fra un ceto dominante piccolissimo e tutti gli altri ceti amplissimi.
Mentre l’Argentina fallisce, gli Stati Uniti d’America hanno una crescita formidabile del Pil nel secondo trimestre di ben il 4 per cento. Non è la Cina, che quest’anno avrà una crescita fra il 7 e l’8 per cento, ma è un’enormità rispetto all’1 per cento medio dell’Unione europea e al fallimentare zero dell’Italia.

Barack Obama, all’inizio della crisi, ha salvato tutte le banche tranne una (Lehman Brothers, non si capisce perché) nonché le tre più grandi case automobilistiche (Gm, Ford e Chrysler) facendo loro adeguati prestiti che sono stati tutti puntualmente rimborsati.
Obama ha potuto effettuare tali operazioni autorizzando l’allora presidente della Federal reserve bank, Ben Bernanke, a stampare dollari nella misura di 10 miliardi al mese. L’inondazione di liquidità ha bloccato la crisi, ha salvato l’economia statunitense e ha creato milioni di nuovi posti di lavoro. Pardon, non posti di lavoro ma opportunità di lavoro, perché negli Usa l’entrata e l’uscita è assolutamente libera, fattore di ulteriore sviluppo.
In Europa, la Germania pagherà quest’anno 27 miliardi di euro sul debito pubblico, l’Italia, nonostante lo Spread ridotto, oltre 82 miliardi. Il Paese teutonico ha il vantaggio, solo per questa voce, di avere disponibile la differenza di 55 miliardi per sviluppo, crescita e occupazione.
 

Non c’è dubbio che più risorse si hanno per investimenti più si accelera la crescita. Infatti, il Paese della Merkel, nel 2015, prevede oltre il 2,5 per cento di maggiore Pil, mentre l’Italia, con un enorme debito e la crescita zero, avrà un futuro nero.
Carlo Cottarelli, commissario per la riduzione della spesa pubblica, nominato da Enrico Letta, sta pubblicando il rapporto che prevede tagli per circa 32 miliardi. Una cifra imponente che solo un governo coraggioso potrà eliminare.
L’obiettivo di Cottarelli è tagliare 10 mila partecipate pubbliche, che hanno prodotto 26 miliardi di perdite, e stabilire dei paletti per gli ottomila Comuni in termini di fabbisogni, costi e procedure standard.
Per questo Cottarelli è mal visto e per questo ha già preannunciato che intende ritornare al Fondo monetario e alla sua famiglia, che vive a New York, conscio che l’attuale Governo non sarà capace di fare tali tagli.

Se il buon giorno si vede dal mattino, annuncio e retromarcia per mandare in pensione quattromila insegnanti e assumerne altrettanti sono paradossali, anche tenuto conto che l’attuale corpo di docenti è superiore al fabbisogno.
I quattromila nuovi pensionati avrebbe comportato una spesa addizionale di oltre un miliardo, quando invece bisognerebbe andare verso la riduzione della spesa, l’unico modo per ridurre le tasse e creare lavoro.
Ma intanto, come già abbiamo fatto rilevare in un precedente editoriale, il debito pubblico è aumentato (a maggio) a 2.166,3 miliardi contro 2.074,7 di dodici mesi prima.
Tutti sanno che il debito distrugge il futuro, perché comporta quell’onere enorme, prima indicato, di 82 miliardi. Per questo non si possono attivare i cantieri per costruire le infrastrutture al Sud, necessarie all’economia come l’aria che respiriamo.
Mentre ciò accade, si apre il cantiere della Tav per collegare Genova alle reti ferroviarie del Nord, via Alessandria. Ben 53 chilometri, di cui 37 in galleria: l’opera sarà completata nel 2020 per un costo di 6 miliardi.
Ma del Ponte sullo Stretto, che costerebbe al denaro pubblico non più di 3 miliardi, nessuno parla. Né i 172 parlamentari eletti in Sicilia, né la Classe dirigente siculo-calabra. Evviva. Gli asini volano!

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