I numeri del disastro decreti e previdenza - QdS

I numeri del disastro decreti e previdenza

Carlo Alberto Tregua

I numeri del disastro decreti e previdenza

martedì 09 Settembre 2014

Legiferare sul modello anglosassone

Il Governo ha comunicato di avere un residuo di provvedimenti da emanare, per attuare le leggi approvate dai governi Monti e Letta, nel numero incredibile di cinquecentoventotto (528). Renzi, per non farsi mancare nulla, cioè per rendere operative le leggi approvate in questi sei mesi, deve far emettere dai diversi ministeri ben 141 provvedimenti. Si tratta di decreti ministeriali, Dlgs e altri per un ammontare complessivo di seicentosessantanove (669), alla data del 31 agosto scorso.
Di fatto, le riforme Monti, Letta e Renzi sono quasi tutte bloccate perché le rispettive leggi hanno dato indirizzi, ma non concreta esecuzione alle disposizioni contenute.
Questo modo di legiferare, cioè leggi non immediatamente esecutive, è un classico della burocrazia la quale esercita interamente il suo potere di interdizione con l’emanazione dei provvedimenti successivi. Ecco spiegata una importante causa della lentezza del processo riformatore che ha effetti dopo anni e non dopo mesi.

Nel mondo anglosassone, ma anche in Francia, in Germania, in Australia e in Norvegia, si legifera in modo totalmente opposto. Ogni norma è immediatamente esecutiva perché contiene in sé gli elementi necessari. Per cui si conosce la sua efficacia nel momento stesso dell’approvazione da parte del Parlamento, non quando la burocrazia farà i successivi adempimenti che non arrivano mai.
Il modo di legiferare italiano ha un’ulteriore pesantezza: arzigogola, fa continui richiami, interviene su altre leggi, ne cancella commi, aggiunge frasi e via enumerando. Un classico comportamento di chi non vuole fare le cose.
Ancora, nel mondo anglosassone, una riforma riscrive interamente e da zero tutta la materia e cancella contestualmente tutte le leggi che la riguardano.
Veniamo ai numeri del disastro. Le partecipate locali, stimate da Cottarelli fra 8 e 10 mila, hanno perso nel 2013 ben 26 mld €. Se è vero che saranno ridotte a mille, le perdite potranno ridursi a  8/10 mld €.
Altri numeri del disastro: recessione 0,2%, deflazione 0,2% (insieme costituiscono la stagflazione), disoccupati che tendono al 13%. La situazione non è ancora arrivata al punto più basso.
 

La previdenza italiana eroga pensioni per 217 mld €, ma incassa contributi per 190 mld €. Sulla collettività gravano i 27 mld € di differenza, ma ce ne sono altri 83 di assegni pensionistici di tipo assistenziale. Ai 110 mld € si devono aggiungere circa 82 mld di interessi.
Altri numeri del disastro: i dipendenti pubblici sono oltre 3,3 mln, ma in questa cifra non sono compresi gli oltre 500 mila dipendenti delle partecipate locali, così come indicato nel rapporto del Commissario straordinario alla revisione della spesa, presentato in Parlamento il 7 agosto 2014.
L’Italia ha dato al Fondo salva-Stati europeo ben 53 mld €, che si sono sommati al debito pubblico preesistente. Tale Fondo è servito per salvare Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda e venire incontro alle banche italiane, sollevate dalla loro pesante situazione debitoria, ma che non hanno trasferito sul sistema produttivo le risorse ricevute: il danno e la beffa.

Dunque, si legifera per non fare, si fanno annunci a raffica (annuncite), non si approvano tempestivamente i decreti attuativi (ripetiamo: sono ben 669), mentre la burocrazia statale farà di tutto per ritardarne l’emissione, soprattutto di quelli che tagliano i loro privilegi e quelli dei loro amici.
La prossima legge di stabilità 2015, che dovrà essere inviata all’Unione europea entro il 15 ottobre, dovrà contenere tutti i tagli necessari a quel moloch della spesa pubblica, senza dei quali non si può mettere in moto l’economia, nè ridurre la disoccupazione.
Su questo versante, la prossima legge sul lavoro dovrebbe liberalizzare i rapporti, anche qui sul modello anglosassone, e non tedesco, in modo da assumere, assumere e assumere, creando la selezione naturale fra meritevoli e sfaticati.
Il cappio alla gola del Paese si stringe sempre di più. Quello alla gola della Sicilia è già stretto. Il presidente del 15% dei siciliani non sa cosa fare, se non il pesce in barile. La situazione è drammatica, anche perché si nasconde e non risponde alle 14 domande pubblicate per ben 15 volte sul nostro giornale.
Crocetta non parla, non scrive, non telefona. Fa la bella statuina. Intanto i siciliani piangono.

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