Lavoratori in serie B e disoccupati in serie B - QdS

Lavoratori in serie B e disoccupati in serie B

Carlo Alberto Tregua

Lavoratori in serie B e disoccupati in serie B

martedì 23 Settembre 2014

Eliminare iniquità consolidate da decenni

Da molto tempo sottolineiamo l’iniquità di tanti politicanti che sostengono la tesi della stabilizzazione dei precari – privilegiati perché raccomandati – mentre ignorano totalmente i 379 mila disoccupati che vi sono in Sicilia.
Ancora, da tempo evidenziamo l’altra iniquità fra dipendenti pubblici e privati, soggetti a regole diverse, che pongono i primi in serie A e i secondi in serie B.
Terza iniquità, componente principale della nostra linea editoriale, le garanzie di ogni genere (eccessive) di cui godono i dipendenti a tempo indeterminato e nessuna garanzia per tutti gli altri, nonché per Cocopro, Cococo, false partite Iva e via enumerando.
La Repubblica italiana è fondata sul lavoro, ce lo ricorda il primo articolo della Costituzione, ma nel mondo del lavoro le tre principali iniquità che abbiamo elencato separano figli e figliastri.

Il danno maggiore di questa situazione è che garanzie e blocchi hanno di fatto creato un’enorme disoccupazione e mantenuto nei rapporti lavorativi fannulloni e incapaci, perché non è stato consentito il naturale ricambio.
Il giovane Primo ministro sta tentando di intervenire nel settore economico-sociale più importante del Paese, cioé il mondo del lavoro, eliminando qualche garanzia che, tradotto, significa aprire l’accesso a tanti italiani, giovani e meno giovani, che non hanno avuto la possibilità di entrare nel mondo dorato del lavoro protetto.
I lavoratori garantiti, per senso di responsabilità, devono fare un passo indietro e i sindacati che li rappresentano non devono più proteggere in modo corporativo quelli che stanno bene – perché non è più possibile accettare che vi siano tanti disoccupati, fra cui bravi e competenti lavoratori, che non possano entrare perché le porte sono blindate – da quelli che stanno dentro e che temono la competizione di coloro che vorrebbero entrare.
Se vogliamo, è giusto che i lavoratori garantiti facciano un passo indietro e, transitoriamente, vadano in serie B per consentire a disoccupati e precari di salire anche loro in serie B. Non si possono accettare lavoratori di serie A e altri di serie D.

 
Vi è un’altra questione che vogliamo sottolineare: la possibilità di immettere nel mondo del lavoro, quasi come per magia, centinaia di migliaia di disoccupati. Basterebbe che a tutti i dipendenti, pubblici e privati, si chiedesse il sacrificio di rinunciare, per uno o due anni, al dieci per cento del loro stipendio e, con le somme così risparmiate si potrebbe assumere il dieci per cento di nuovo personale.
Per esempio, se un’azienda ha venti dipendenti e tutti e venti rinunciano al dieci per cento del loro stipendio, a parità di ore lavorate, quell’azienda può assumere due persone mantenendo inalterato il costo complessivo del lavoro.
Lo stesso potrebbe avvenire in qualunque amministrazione pubblica, statale, regionale o comunale.
Ovviamente, questa soluzione di buonsenso non verrà presa in esame perché chi guadagna una certa cifra non è disponibile a rinunciare neanche al dieci per cento, anche se il proprio atto avrebbe una grande valenza economico-sociale.

Il dibattito sul reintegro del lavoratore licenziato è del tutto privo di fondamento, come lo è lo stesso art. 18 dello Statuto dei lavoratori (Legge Brodolini 300/79). è noto come nessun dipendente pubblico venga licenziato, e dunque per i quattro milioni di dipendenti pubblici (3,4 milioni stipendiati e seicentomila delle partecipate statali, regionali e comunali) il problema non sussiste.
Nel settore privato, fatti salvi i casi di discriminazione che vanno sempre combattuti, non si vede come un’azienda che abbia dei bravi dipendenti, per cui ha speso tempo e denaro finalizzati alla loro formazione, se ne privi per ricominciare da capo.
Si dirà che c’è differenza fra le grandi imprese, anche multinazionali, e il versante di cinque milioni di medi e piccoli imprenditori. Fra questi ultimi, tutti quelli che hanno fino a quindici dipendenti non hanno l’obbligo di osservare l’art. 18. Per tutte le altre, i casi in cui è stato invocato questo totem sono relativamente pochi. Dal che si deduce che continuare a discuterne è inutile, mentre vi sono questioni molto più importanti da risolvere.

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