Anche in Sicilia si sgretola la famiglia tradizionale - QdS

Anche in Sicilia si sgretola la famiglia tradizionale

Fabrizio Margiotta

Anche in Sicilia si sgretola la famiglia tradizionale

martedì 21 Ottobre 2014

Nell’Isola, in tredici anni, l’età media in cui ci si sposa è aumentata di ben cinque anni. Fattori sociologici, culturali o legati alla crisi: i numeri non dicono tutto

PALERMO – Se dovessimo delineare il ruolo del contratto matrimoniale negli ultimi vent’anni di storia della società italiana, tenendo conto peraltro della compenetrazione tra l’istituto civile e il sacramento religioso in una nazione a forte appartenenza cattolica, dovremmo tracciare, inevitabilmente, una ripida parabola discendente. La perdita di centralità dell’unione “ufficiale” tra uomo e donna è, infatti, una realtà culturale ancor prima che sociologica, testimoniata da innumerevoli proiezioni statistiche.
 
La diffusione di forme di convivenza para-familiari e la progressiva deregolamentazione della vita di coppia hanno sferzato un colpo durissimo alla famiglia costituzionalmente intesa, mentre aumentano le richieste di accesso al matrimonio da parte di coppie omosessuali. Un paradosso di facile lettura giuridica, ma di più ardua interpretazione antropologica.
 
Questo inesorabile declassamento del matrimonio, in Italia come in Europa, si accompagna a ulteriori analisi statistiche riguardanti l’età media al primo matrimonio e la percentuale di soggetti nati (vivi) fuori dal matrimonio. A livello europeo, l’Italia si pone tra i primi sei Paesi dell’Unione per età media di accesso al primo matrimonio (circa 31 anni per le donne, quasi 34 per gli uomini), dopo Francia e Spagna. La presenza della Svezia e della Danimarca nei primi due posti della classifica, dimostra come il ritardo dell’unione sia spesso dovuto a fattori culturali, ancor prima che economici.
Fattori che hanno evidentemente condizionato, e non poco, i cittadini italiani, che nel 1990 si sposavano a 26 (donne) e 29 anni (uomini); dati, questi, che sono attualmente presenti solo nell’Est europeo. Le proiezioni europee vengono fedelmente riprodotte nelle statistiche regionali, ma non senza le consuete contraddizioni e disparità. In Sicilia sono bastate tredici annualità per aumentare l’età media al primo matrimonio di circa cinque anni, sia per gli uomini sia per le donne. Nonostante questo, i siciliani si sposano circa tre anni prima degli emiliani o dei liguri: le siciliane, in particolare, sono le donne che salgono sull’altare per prime in Italia, a circa 29 anni. Come mai? È molto difficile valutare le ragioni più profonde di queste statistiche: si tratta di scelte e di valori, o di forzature e opportunità? Se una donna toscana attende i 32 anni, lo fa perché lavora di più? Perché crede di meno nella stabilità della famiglia? O forse in Sicilia vige una mentalità misogina (mitologica, non reale) che relega le donne nel gineceo mentre il marito mantiene la famiglia? È possibile che in Sicilia la gente si affidi, per così dire, alla Provvidenza, e si sposi nonostante le difficoltà e gli ostacoli?
I numeri non dicono tutto, è evidente, ma parlano comunque di una società in cui il fondamento culturale del matrimonio perde terreno a favore di vincoli inediti e innominati. Parlando dei figli nati fuori dal matrimonio che, per fortuna, sono stati progressivamente equiparati in tutto e per tutto ai figli “legittimi”, alcune delle questioni poste sopra potrebbero giungere a una soluzione. La media italiana, per il 2012, di figli nati fuori dal vincolo matrimoniale, si assesta intorno al 28 per cento: un dato, quest’ultimo, che viene nettamente superato in Toscana (37,4 per cento) ed Emilia Romagna (35,6 per cento).
In Sicilia sono lontani i tempi dei primi anni ’90 (7,2 per cento) e anche le attuali percentuali calabresi (14,6 per cento) e campane (16,8 per cento), ma i numeri sono comunque al di sotto della media nazionale: 21,1 per cento nel 2012, tenendo anche in debita considerazione i fenomeni migratori (legali) che interessano l’Isola. Emerge, in questo senso, come l’Italia centrale e settentrionale sia sempre più coinvolta nelle trasformazioni sociali e culturali mitteleuropee, in cui il matrimonio e la famiglia tradizionale hanno perso, nel tempo, la propria centralità.
I sostenitori della New home economics, fondata da Gary Becker e Jacob Mincer negli anni ’60, individuano le cause di questo epocale cambiamento di tendenza nelle crescenti opportunità occupazionali delle donne, che avrebbero così perso interesse verso un assetto familiare non più “utile”.
Forse, piuttosto, a mancare è sempre più spesso –e senza differenze di genere- la fiducia, l’abbandono, la progettualità che rende speciale ogni storia d’amore.

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