Non solo poveri ma anche soli, cresce il ricorso ai centri d’ascolto - QdS

Non solo poveri ma anche soli, cresce il ricorso ai centri d’ascolto

Serena Giovanna Grasso

Non solo poveri ma anche soli, cresce il ricorso ai centri d’ascolto

mercoledì 22 Ottobre 2014

Ci si rivolge ai Cda per problemi occupazionali (45%), abitativi (20%) e per necessità di comprensione (10%). Report Caritas: nel Mezzogiorno 7 utenti su 10 sono cittadini italiani

PALERMO – Lo scorso 17 ottobre tutto il mondo ha celebrato la giornata di lotta e contrasto alla povertà. In un simile contesto, i dati provenienti dall’Italia e ancor più dal Mezzogiorno non sono certamente rassicuranti, anzi, al contrario.
Come rileva la Caritas nel suo “Flash report su povertà ed esclusione sociale”, l’incidenza di questa condizione in soli sei anni, cioè dal 2007 al 2013, è letteralmente raddoppiata in ogni macroarea geografica. Naturalmente i valori peggiori al Sud e nelle Isole a causa del “vantaggio” di partenza: si è infatti passati da un’incidenza della povertà assoluta sulle famiglie del 5,8% del 2007 al 12,6% del 2013, mentre al Nord si è passati dal 3,5% al 5,7%.
Sembra così allontanarsi sempre più la realizzazione dell’obiettivo Ue “Strategia Europa 2020” che comporta l’assorbimento di venti milioni di persone in stato di povertà nell’ambito dell’Unione entro il 2020. Obiettivo in realtà già naufragato quasi da principio: infatti, in base ai piani programmatici elaborati da ciascun Stato membro, la riduzione apportata non avrebbe superato le dodici milioni di persone, così condannando sin dall’inizio otto milioni di poveri a vivere in una situazione di esclusione sociale.
Per quanto riguarda l’Italia, l’obiettivo fissato per il 2020 dal nostro Paese era quello di ridurre di 2 milioni e 200 mila unità il totale complessivo di persone a rischio di povertà o esclusione sociale. Scendendo nel dettaglio, si osserva come nel corso degli anni la distanza dall’obiettivo prefissato è andata via via aumentando: nel 2010, secondo i dati Eurostat, il numero di persone a rischio di povertà o esclusione sociale in Italia era pari a 14.757.000 unità. L’uscita dallo stato di povertà di 2 milioni 200mila persone entro il 2020 avrebbe portato il totale di persone povere alla cifra di 12 milioni 557mila unità. Ma già nel 2011 il numero di poveri in Italia anziché diminuire, era aumentato di oltre 2 milioni di unità, portando la distanza dall’obiettivo 2020 a oltre quattro milioni e mezzo di unità. Anche l’anno successivo si è registrato lo stesso fenomeno. Purtroppo dunque, dati alla mano si rischia di assistere al quasi certo fallimento del progetto.
Nel frattempo il fenomeno imperversa a qualsiasi livello. Mentre fino a qualche anno fa interessava solo determinate fasce di popolazione, con anziani, disoccupati e famiglie numerose in testa, oggi non si potrà certamente affermare la stessa cosa. La crisi si abbatte con estremo vigore anche su chi ha un lavoro ed interessa ogni fascia di età: si pensi che i minori poveri rappresentano il 13,8% del totale con quota pari a 1 milione e 434 mila.
Rivela la Caritas, quanto elevata sia la porzione di popolazione che si rivolge ai centri d’ascolto in particolar modo al Sud e nelle Isole, rappresentando il 30,6% dell’utenza rispetto al campione di centri presi in esame.
Nel Mezzogiorno si assiste ad una prevalenza di cittadini italiani (72,5) rispetto agli stranieri (27,1%), dato giustificato da una duplice motivazione: minor presenza di stranieri sul territorio e situazione di maggior criticità in cui versano le regioni meridionali. Si rilevi un copioso peggioramento della condizione vissuta nel Mezzogiorno; al contrario valori stabili rispetto al 2013 si registrano al Nord, macroarea in cui continua a persistere una maggiore incidenza di stranieri (64,4%).
A rivolgersi ai Centri di ascolto sono per lo più persone in cerca di un’occupazione, che rappresentano il 62,7% del totale (considerando i disoccupati e gli inoccupati). Diminuisce nel corso degli anni il peso degli occupati, che rappresentano oggi solo il 14,6% del totale, segno dell’imperversante declino occupazionale.
L’operatore deve essere pronto a captare da un attento ascolto i problemi latenti di ordine psicologico, come un’improvvisa separazione, lutto o perdita di lavoro, e bisogni manifesti. Rispetto a questi ultimi, come un anno fa prevalgono i bisogni legati a situazioni di povertà assoluta: problemi occupazionali (45%) e abitativi (20,1%) in testa; i primi coincidono in gran parte con la ricerca di un lavoro, quelli abitativi evidenziano per lo più mancanza di casa, residenze provvisorie, abitazioni precarie/inadeguate. Non irrisorie anche le richieste di aiuto per problemi di salute (12,6%).  Seguono poi il bisogno di ascolto in profondità (9,9%), la domanda di sussidi economici (7,1%) e di alloggio (4,5%).
La risposta a queste domande ha previsto l’erogazione di beni e servizi materiali (56,3%) e sussidi economici (14%).

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