Parlamento e Regione difendono i privilegi - QdS

Parlamento e Regione difendono i privilegi

Carlo Alberto Tregua

Parlamento e Regione difendono i privilegi

mercoledì 29 Ottobre 2014

Di fronte a 400 mila disoccupati

Giovedì 23 ottobre su Rai Due, alla trasmissione Virus era invitato il presidente della Regione Rosario Crocetta. Mi sono molto dispiaciuto per la sua goffaggine e incapacità di esprimere concetti chiari e comprensibili ai telespettatori.
Si impappinava e farfugliava: uno spettacolo pietoso. Quando Richetti (Pd), stesso partito di Crocetta – ex presidente del Consiglio regionale dell’Emilia, regione con quasi gli stessi abitanti della Sicilia (4,4 mln) – gli ha chiesto perché il Consiglio emiliano costasse 30 milioni e quello siciliano 160, il presidente della Regione si è trincerato dietro una nefasta parola: autonomia.
Così i telespettatori hanno potuto capire che dietro l’autonomia si nascondono tutti i privilegi delle corporazioni, causa prima del degrado della Sicilia e della sua perdita di 14 punti di Pil in sette anni, il dato peggiore delle regioni italiane.
L’Ars continua a difendere i suoi privilegi, non ha tagliato totalmente i vitalizi, non ha tagliato il compenso dei consiglieri a 5 mila euro netti al mese, compenso compreso di tutto, non ha tagliato il compenso di dirigenti a livello dei loro colleghi degli altri Consigli regionali.

Il Consiglio di presidenza dell’Ars non ha applicato il contratto di lavoro degli altri Consigli regionali ai propri dipendenti, con ciò difendendo privilegi inauditi di gente che sta benissimo, il cui contraltare sono i 400 mila disoccupati e le 373 mila imprese che stanno malissimo.
Duecentododici dirigenti e dipendenti privilegiati, 90 consiglieri privilegiati, 18 mila dipendenti e dirigenti regionali privilegiati, 50 mila dirigenti e dipendenti della Sanità privilegiati e 60 mila clientes fra formatori, forestali ed altri in attesa di stipendio cui non corrisponde un lavoro produttivo.
Da Crocetta, nè in sede televisiva, nè in sede istituzionale una parola per tagliare questi privilegi, nè una parola sull’applicazione in Sicilia delle leggi 191/2009 e 122/2010 con cui sono stati tagliati il numero dei consiglieri comunali e le loro indennità.
In questo bailamme assistiamo al vile spettacolo di dirigenti che non vogliono lavorare e chiedono il trasferimento da uffici di responsabilità, come quelli dell’assessorato Economia, altri che si imboscano e oltre 400 dei 1.800 in organico senza incarico, secondo la Corte dei Conti.
 

Se Sparta piange, Atene non ride. Grasso e Boldrini, presidenti di Senato e Camera, fanno ammuina, dicono che taglieranno le spese ma intanto la Camera ha oltre 1.500 dipendenti (compresi quelli dei gruppi parlamentari pagati dallo stesso ente), il Senato ne ha 799. Quel che è peggio è che tutti costoro percepiscono stipendi da favola, in spregio ai milioni di disoccupati e ai milioni di piccoli e medi imprenditori che sbarcano il lunario a fatica, soverchiati da enormi ed inique imposte.
Nel 2014, Camera, Senato e Quirinale costano oltre due miliardi. Se dimezzassero quella spesa, tagliando stipendi e privilegi a dirigenti e dipendenti, nonchè i vitalizi ai parlamentari, potrebbero essere ancora considerati nababbi.
Ridicola sembra la ribellione dei pensionati d’oro dei tre enti che si rifiutano persino di versare il contributo di solidarietà, pur percependo pensioni fino a 15 mila euro al mese.
In questo quadro generale, la lamentazione dei sindacati, che difendono i dipendenti pubblici, è del tutto fuori luogo.

Il sindacato, che dice di promuovere il lavoro per i disoccupati, dovrebbe essere in prima linea per affermare che prima bisogna portare a un livello accettabile le remunerazioni dei disoccupati e solo dopo dare agli statali aumenti, nonostante essi non siano stati toccati per nulla dalla crisi. è del tutto iniquo dare a chi già sta bene ed è garantito e non mettere, invece, in condizioni meno disagiate chi sta male.
Il quadro che precede è chiarissimo. Non temiamo smentite.
Certo il primo a tagliarsi indennità dovrebbe essere il presidente della Regione che non può continuare a guadagnare più di Barack Obama e di Giorgio Napolitano: una cosa che ci fa profondamente vergognare di essere siciliani.
Ma la responsabilità è anche nostra, soprattutto di quei giornali e giornalisti, che in questi decenni non hanno fatto il loro mestiere: difendere l’interesse dei cittadini, restando con la schiena dritta e a testa alta.

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