Nel deserto economico siciliano più agricoltura che industria - QdS

Nel deserto economico siciliano più agricoltura che industria

Rosario Battiato

Nel deserto economico siciliano più agricoltura che industria

lunedì 03 Novembre 2014

Il settore agricolo vanta qualche miglioramento nel biologico, per il resto non si vede rinnovamento. La distribuzione dei redditi penalizza le famiglie monoreddito

PALERMO – Non ci sono soltanto Pil e occupazione sul banco degli imputati dell’ultimo rapporto Svimez sull’economia del mezzogiorno. Da questi indicatori macroeconomici ne discendono molti altri che, più in dettaglio, disegnano la reale situazione della devastata economia isolana. A segnare le tendenze peggiori ci pensano la distribuzione dei redditi, il valore aggiunto dell’industria e il crollo dell’agricoltura.
Della crisi agricola isolana e delle possibili soluzioni, si discute ormai da oltre un decennio. Eppure i risultati non sono cambiati. Negli ultimi decenni l’abbandono della terra è stato un fattore costante  con una riduzione della superficie agraria utilizzata (SAU), tra il 1982 e il 2010, di 5,3 milioni di ettari, di cui 2 milioni al Sud. L’innovazione procede a rilento e, infatti, oltre il 36% dei capoazienda ha più di 65 anni, con punte del 40% in Sicilia. A riprendersi la terra c’è il settore biologico, oltre il 9% del totale della SAU è adibito a coltivazioni bio, che in Sicilia tocca il terzo dato nazionale col 12% della superficie agricola utilizzata.
Se l’agricoltura presenta molte ombre e qualche timida luce, per l’industria il quadro è al buio.
 
“A livello nazionale – si legge nel rapporto – il valore aggiunto nel 2013 è sceso del 3,2%, una flessione risultante dal -2,7% del Centro-Nord e dal -6,5% del Sud, per effetto del calo sia della domanda interna che estera”. Sul totale della ricchezza prodotta in Italia il valore aggiunto dell’industria in senso stretto nel 2013 è stato pari al 20,7% nel Centro-Nord e all’11,8% al Sud. Nell’area meridionale l’Abruzzo si conferma in linea e anzi superiore al Centro-Nord, con un valore del 21,8%, seguito dal Molise (17%) e dalla Basilicata (14,5%). In coda la Sicilia (8,2%) e la Calabria (7,6%), che, assieme alle altre, registrano un dato in calo rispetto ai valori già bassi registrati nel 2007.
La distribuzione e la quantità dei redditi sul territorio è conseguenza di questa situazione.  Nel 2012 il 9,5% delle famiglie meridionali guadagna meno di mille euro al mese, un dato che è quasi il triplo del Centro-Nord (3,8%). Il dato varia tra  il 9,2% delle famiglie lucane, il 9,3% delle calabresi, il 10,9% delle molisane e il 14,1% delle siciliane. Il costo della vita minore è certamente un altro indicatore che permette a famiglie con redditi inferiori di sopravvivere anche al Sud, ma è molto indicativo delle differenze produttive nazionali che si verificano all’interno dello stesso Paese.
 
La Svimez ha inoltre approfondito la questioni redditi dividendo 100 famiglie in cinque classi da 20 l’una, dalle più ricche alle più povere, e facendo emergere che il 57,3% delle famiglie meridionali, cioè la stragrande maggioranza, appartiene alle classi più povere. “Poverissimo il 28% delle famiglie abruzzesi e pugliesi, il 29% delle molisane, il 31% delle calabresi, il 34% delle lucane, il 35,7% delle campane e addirittura il 41,7% delle siciliane”. Incide anche un’alta presenza di famiglia monoreddito (63,3% in Sicilia) anche perché il lavoro femminile, tasso di attività al 35%, non sembra trovare particolari sbocchi.
La diretta conseguenza di questi numeri è la fuga. E non solo di cervelli. Nel 2012 ben 27mila siciliani si sono trasferiti al nord, anche se esiste in fenomeno inverso, probabilmente una sorta di migrazione di ritorno, che nello stesso anno ha portato nell’Isola 12mila unità. Il saldo è comunque decisamente negativo.

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