Canicattì, lì dove le colline si dispongono ad anfiteatro tra grappoli biondi protagonisti della sagra dell’agricoltura - QdS

Canicattì, lì dove le colline si dispongono ad anfiteatro tra grappoli biondi protagonisti della sagra dell’agricoltura

Annalisa Di Stefano

Canicattì, lì dove le colline si dispongono ad anfiteatro tra grappoli biondi protagonisti della sagra dell’agricoltura

giovedì 15 Ottobre 2009

Il 17 e 18 ottobre si potrà assaggiare l’Uva Italia, nata dall’esperimento di un illustre genetista che incrociò due varietà di viti

CANICATTI’ – Le origini del nome Canicattì si perdono nella notte dei tempi. Già nel Seicento l’abate Rocco Pirro, nella sua Sicilia Sacra (1638), la definiva oppidulum antiquum, cittadina antica.
La tradizione popolare vuole che il paese sia sorto nella massaria del cosiddetto feu di la ficu, situato sulla collina. Lo storico fra’ Salvatore da Naro, vissuto a cavallo tra Seicento e Settecento, narra che quando gli Arabi invasero e distrussero la città di Mozio, gli abitanti cercarono scampo nella vicina Corconiana, fortezza sicana sopra il fiume Naro, che i conquistatori ribattezzarono Al-Qattà (tagliatore di pietre) nella parte alta, per la presenza sul luogo dei lavoratori delle cave, e Handaq-attin (fossato di argilla, costituito dal cosiddetto vallone del fiume Naro) nella parte bassa, donde il nome del paese.
Canicattì si trova a metà strada tra Agrigento e Caltanissetta, lì dove le colline si dispongono ad anfiteatro, in un territorio coltivato a vigneti. Non a caso l’economia di zona ruota attorno all’uva locale, apprezzata in varie parti del mondo. E’ l’Uva Italia, nata dall’esperimento di un illustre genetista che incrociò due varietà di viti.
Ai grappoli biondi del cosiddetto “oro giallo” di Canicattì, che ha ottenuto il riconoscimento IGP, è dedicata la Sagra dell’agricoltura, giunta all’8ª edizione, che si terrà il 17 e 18 ottobre nelle piazze del centro storico. Occasione per degustare le pesche tardive, i formaggi, il vino rosso e i quadrelli, deliziosi croccantini di mandorla multistrato con granella di pistacchio.
Il centro storico, di origine medievale, sa ancora affascinare con le sue atmosfere antiche, i vicoli stretti e i deliziosi cortili. Passeggiando tra le strade lastricate si resta attratti dai palazzi signorili e dalle chiese, tra le quali spicca in via Duomo la chiesa Madre, dedicata a San Pancrazio, patrono della città, con la splendida facciata progettata da Ernesto Basile.
Poco più in là si svolge corso Umberto che, prendendo inizio da Largo Savoia, ingentilito dalla presenza della chiesa di S. Diego, ci conduce in Piazza IV Novembre, dove è collocata la statua di Padre Gioacchino La Lumia, molto venerato dagli abitanti. A tracciare quest’ampia strada, delimitata da verdi ombrosi alberi, fu il principe Giacomo I Bonanno, che nel 1619 acquisì la baronia del paese e poi ne abbellì il volto, meritando l’appellativo di “nuovo fondatore di Canicattì”.
A lui si deve la realizzazione di tre fontane monumentali, una delle quali raffigura Nettuno ed è possibile ammirare addossata alla settecentesca chiesa del Purgatorio. Chiamata dalla gente del luogo Petreppàulu, appellativo nato dalla storpiatura di “pietra che parla” traduzione di quel lapis ipse  loquax presente nell’epigrafe latina. Fuori porta vale la pena di raggiungere villa Ferriato, in località Casalotti.
Edificata nel XIX secolo per volere del barone Francesco Lombardo e progettata da Ernesto Basile, costituisce uno splendido esempio di liberty. Un’altra testimonianza della magnificenza di Canicattì e del suo territorio.

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