Vino, la Sicilia ha perso 2.300 aziende in 5 anni - QdS

Vino, la Sicilia ha perso 2.300 aziende in 5 anni

Liliana Rosano

Vino, la Sicilia ha perso 2.300 aziende in 5 anni

mercoledì 12 Novembre 2014

Ricerca Unioncamere: la nostra Isola prima in Italia per numero di cessazioni nel medio-lungo periodo. Dati negativi anche per Piemonte (-1.600) ed Emilia Romagna (-704). Bene il Veneto (+472)

CATANIA – Segno meno per le imprese vitivinicole siciliane. Nel periodo 2009-2013, in Sicilia, sono state in tutto 2.300 le aziende del vino che non risultano più iscritte alla Camera di Commercio.
Con questi numeri, l’Isola si piazza al primo posto tra le regioni con un bilancio in negativo sul numero delle aziende del vino che hanno chiuso i battenti, seguita dal Piemonte (-1.600 imprese) Emilia Romagna (-704), Trentino Alto Adige (-543), Lazio
(-529) e Campania (-187).
I dati sono quelli diffusi da Unioncamere-Infocamere e Movimprese. In Italia, complessivamente, durante il triennio preso in considerazione, il calo è stato del 5,4%. La fetta più grossa riguarda la voce “coltivatori di uve”, che perde 6 mila unità, rispetto alle categorie “produttori di vino” e “imbottigliatori”, entrambi in lieve aumento rispettivamente di 234 e di 408 unità. Non tutte le regioni però sono in calo. I numeri parlano anche di una crescita in Veneto (472 imprese vitivinicole in più registrate), Puglia (336), Toscana (124) e Abruzzo (58); bene anche Basilicata e Liguria.
Stesso trend per il primo trimestre 2014, con un saldo negativo di 138 aziende a seguito della cancellazione di 388 coltivatori di uve iscritti al registro delle imprese. Nello stesso periodo, si registra però un aumento delle categorie dei produttori (+30 unità) e degli imbottigliatori (+220 unità).
A livello territoriale, il primo semestre 2014 conferma il trend del triennio: buone le performance di Veneto, Puglia e Abruzzo, in discesa Sicilia e Piemonte. “Il dato sui coltivatori di uve” fa notare il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, “assomma al suo interno anche quello relativo ai piccoli produttori.
Queste tipologie di impresa sono da tempo soggette a una duplice dinamica: da una parte, molte imprese stanno scegliendo forme più evolute di fare impresa, aggregandosi per meglio resistere alle nuove esigenze della globalizzazione; dall’altra, tante piccole attività che fanno fatica ad accettare la sfida della qualità sono soggette a una progressiva marginalizzazione”.
Quello del vino, è un settore che sta attraversando una profonda evoluzione. Dalla Francia e dalla Spagna arrivano esempi di come le imprese vitivinicole stanno cambiando volto. Nei due paesi maggiori concorrenti dell’Italia, le cooperative vengono riconosciute come organizzazzioni di produttori (Op), per favorire la concentrazione dell’offerta. Una sorta di interprofessione che sta portando la Spagna a rielaborare un nuovo concetto nel mondo vinicolo ed imprenditoriale.
 

 
Controdendenza. I giovani sembrano più attratti dal settore
 
C’è però un altro fenomeno che sta accandendo parallelamente ai dati diffusi da Unioncamere: l’avvicinamento ai giovani al mondo della campagna e del settore vinicolo. Una generazione di nuovi agricoltori che ha le energie per investire.
L’ultima analisi dell’Osservatorio Agrosserva riferita alle vere nuove imprese agricole nate nel secondo semestre 2013 evidenzia che oltre un quarto dei neoimprenditori ha meno di 30 anni e un ulteriore 10% appartiene alla fascia d’età dei 31-35enni. Nel secondo trimestre 2014, inoltre, lo stock di imprese giovanili è aumentato del 2,6%, contando 1.253 imprese in più rispetto a fine marzo, per un totale di 48.620 unità produttive.
 “La perdita di migliaia di aziende è un dato lampante che ci deve far riflettere”, commenta Adriano Orsi, responsabile del settore vitivinicolo di Fedagri Confcooperative: “Da sempre abbiamo sostenuto che in Italia ci sono troppe imprese e troppo piccole. Una strada è l’aggregazione, in particolare quella cooperativa, che consente al produttore di restare autonomo, avere un reddito adeguato grazie a una struttura che gli consente di vendere il proprio prodotto sui mercati. Gli esempi sono tanti, dalla Puglia alla Sicilia, al Trentino”.

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