Ecatombe dei lavoratori autonomi in Sicilia - QdS

Ecatombe dei lavoratori autonomi in Sicilia

Serena Giovanna Grasso

Ecatombe dei lavoratori autonomi in Sicilia

giovedì 13 Novembre 2014

Cgia di Mestre: la posizione “svantaggiosa” di queste persone aumenta il rischio di povertà (24,9%). A peggiorare anche la condizione economica: il reddito si abbassa di 2.837 euro

PALERMO – L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. Praticando una sorta di ironia quasi malsana, se solo non sapessimo che si tratta proprio del primo articolo della Costituzione, potremmo affermare che si tratta di un principio ai limiti dell’“incostituzionalità” data la situazione attuale.
Ormai anche chi non è abituato a consultare abitualmente un quotidiano sa come questi anni ininterrotti di crisi abbiano eroso centinaia di migliaia di posti di lavoro. Ne parlano tutti: dagli istituti di ricerca che quantificano il dramma, agli strumenti di informazione ed ancora alla gente comune che vive sulla propria pelle l’esperienza. Gli ultimi dati in materia ci provengono dalla Cgia di Mestre.
Secondo il dire dell’Associazione degli artigiani e delle piccole imprese, la congiuntura economica negativa si è abbattuta con maggior ferocia sui lavoratori autonomi, includendo in questa categoria gli imprenditori, i liberi professionisti, i lavoratori in proprio, i coadiuvanti familiari e i soci di cooperativa. Nel giro di otto anni, la suddetta fascia occupazionale ha perso circa 348.400 esponenti, una flessione pari al 6,3%. Purtroppo ormai com’è facilmente intuibile, affermiamo che la contrazione più consistente ha investito in pieno l’area meridionale del Paese: numeri alla mano, la nostra circoscrizione geografica ha incassato una contrazione superiore ai tre punti percentuali rispetto a quella rilevata nel resto dello Stivale (-9,9%, equivalente alla perdita di oltre 160.000 attività).
In questo contesto, la nostra regione si allinea perfettamente con il prospetto meridionale: infatti, dal 2008 fino al primo semestre dell’anno in corso l’Isola ha perso il 9,1% dei lavoratori autonomi, corrispondenti a oltre 30.300 unità. In termini percentuali va decisamente peggio in Calabria, con una contrazione pari al 22,2% (-34 mila unità).
Purtroppo però il quadro delle negatività non si esaurisce certamente qui. Ad essere decurtato non è esclusivamente il numero dei lavoratori autonomi, ma a questo si aggiunge anche il valore dei rispettivi redditi. In otto anni ciascun lavoratore autonomo ha perso mediamente 2.837 euro annui. La semplice enunciazione della seguente perdita è insufficiente ad esprimere l’allarmante situazione. Occorre precisare che ulteriore male che affligge quasi un autonomo su quattro è lo stato di povertà incalzante: infatti, ben il 24,9% dei lavoratori autonomi dispone di un reddito inferiore ai 9.456 euro, soglia al di sotto della quale l’Istituto di statistica nazionale decreta la presenza dello stato di povertà.
Sebbene il peso della crisi non risparmi nessuno, i lavoratori dipendenti appaiono molto più sgravati rispetto agli autonomi: in questa fascia occupazionale il tasso di povertà si abbassa al 14,4%, ben dieci punti percentuali in meno, grazie anche alla stabilità del reddito rispetto ai valori pre-crisi. Oltretutto sono sempre i lavoratori dipendenti a beneficiare di maggiori tutele alla perdita del lavoro. Nessun ammortizzatore sociale è riservato agli autonomi. Per non parlare dell’ultima speranza vista ormai sfumare, ossia l’estensione del bonus degli 80 euro.
 


Le tasse sferrano il colpo di grazia agli “indipendenti”
 
Ma non finisce qui la sequela degli svantaggi riservati agli autonomi. Ricordiamo ad esempio lo studio dello scorso maggio della Cna (Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa), secondo cui nel 2014 il peso fiscale per queste realtà, frutto della triplice combinazione letale consistente nella tassazione nazionale, regionale e comunale, è pari al 63,1%, quattro punti percentuali in più rispetto a tre anni fa (nel 2011 si attestava al 59,1%). Attenzione, quel 63,1% non è altro che un valore medio. Ad esempio, accade che città come Catania sono soggette ad una tassazione al limite dell’insopportabile: infatti, il capoluogo etneo, rivestendo la sesta posizione a livello nazionale, è soggetto ad una tassazione del 71,1%. A seguire troviamo tutte le altre province siciliane, tutte con valori al di sopra della media nazionale. L’unica eccezione è rappresentata da Enna e Trapani con livelli lievemente al di sotto rispetto al valore italiano (60,1%). Dunque, emergono tutti i tasselli che hanno ucciso i lavoratori autonomi durante la crisi.

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