Vergognoso sciopero dei pubblici-privilegiati - QdS

Vergognoso sciopero dei pubblici-privilegiati

Carlo Alberto Tregua

Vergognoso sciopero dei pubblici-privilegiati

martedì 02 Dicembre 2014

Stipendi in rapporto ai provvedimenti

Lo sciopero dei pubblici dipendenti di ieri è inqualificabile: 3,3 milioni di cittadini che non hanno subìto la crisi e che dovrebbero essere al servizio di tutti gli italiani hanno incrociato le braccia perché, udite udite, non ricevono aumenti contrattuali da 5 anni.
Tutti costoro, dirigenti e dipendenti pubblici, debbono considerarsi privilegiati perché non hanno subìto la crisi, che invece ha roso le carni dei cassintegrati, che hanno continuato a sopravvivere con 700/800 euro al mese, di 3,4 milioni di disoccupati che sbarcano il lunario come possono, di oltre 2 milioni di piccoli artigiani e imprenditori che soffrono la crisi più degli altri e di milioni di poveri.
Potrebbero obiettare, questi dipendenti-privilegiati, che comunque i loro contratti andavano rinnovati. E cosa dovrebbero dire altre 46 categorie di dipendenti privati i cui contratti non sono stati rinnovati e che, per effetto della crisi, sono sotto la minaccia di licenziamenti di massa?

Il comportamento degli scioperanti è inqualificabile, non perché l’astensione dal lavoro non sia legittima, ma perché non vogliono rendersi conto delle condizioni di estrema difficoltà di milioni e milioni di concittadini che non hanno i loro stipendi. Ancor più vergognoso è il comportamento dei dirigenti, che sono superpagati anche per non produrre nulla e ricevono premi, indennità, rimborsi e prebende varie senza rendicontare quali siano i risultati del loro lavoro.
È del tutto evidente che chi lavora vale solo per i risultati che produce e non per le ore che passa nel luogo dell’attività. Anzi, quando sarà rinnovato il contratto dei dipendenti pubblici, dovrà essere inserita la clausola che il loro stipendio sarà suddiviso in  metà fissa e l’altra metà variabile, in base alla produzione dei servizi.
E non ci vengano a dire che i servizi prodotti non siano misurabili. Solo gli ignoranti e gli incompetenti potrebbero fare un’affermazione del genere. Infatti, è noto che i servizi si possono ridurre in unità e le unità sono misurabili, hanno un valore economico e ad esso deve essere commisurato tassativamente il compenso di chi lo produce. Il resto è una serie di fandonie.
 

Altra fandonia abbiamo sentito da sindacalisti che non lavorano e non hanno mai lavorato (mentre percepiscono regolarmente stipendi): la dignità del lavoro diminuisce se non viene compensata con l’aumento di denaro. Ma quando mai la dignità si misura col danaro? La dignità è condizione di nobiltà morale, in cui l’uomo è posto dal suo grado, dalle sue intrinseche qualità e dalla sua stessa natura di uomo, che merita rispetto, lo stesso rispetto che deve a sé stesso. Che c’entra il denaro con tutto questo?
Parolai. Persone che vogliono imbrogliare l’opinione pubblica usando argomenti di cui non sanno il significato.
Chi chiede qualcosa, come un diritto, dovrebbe per primo fare l’esame di coscienza e cioè se ha onorato il dovere. Ma non abbiamo sentito da nessun sindacalista e da nessun dipendente-privilegiato che ha scioperato un riferimento al proprio giuramento, fatto all’atto dell’assunzione in base all’art. 54 della Costituzione: i cittadini, cui sono affidate funzioni pubbliche, hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore…

E poi tutti costoro, dipendenti pubblici-privilegiati, hanno fatto l’altro esame di coscienza, in modo da avere assicurato il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione (art. 97, comma 2 della Costituzione)? E ancora: hanno la coscienza di poter affermare che il loro accesso al posto in cui si trovano è avvenuto tramite concorso (art. 97, comma 3 della Costituzione)?
Tutto ciò anche a fronte di quello che è successo in Grecia, ove sono stati licenziati 25 mila dipendenti pubblici e agli altri è stato decurtato il 30% dei compensi, ma quel Paese non è ancora uscito dalla crisi.
All’opinione pubblica occorrerebbe che venissero date le risposte a queste domande. Anzi, occorrerebbe che questi dipendenti pubblici perdessero la definizione di privilegiati, si mettessero a lavorare bene e alacremente e aspettassero ancora 4-5 anni per chiedere aumenti, in attesa che gli altri milioni di italiani iniziassero a guadagnare quanto loro.
Il Paese ha bisogno di cittadini di buon senso e non di privilegiati.

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