Ue, l’inutile cazzeggio sulla flessibilità - QdS

Ue, l’inutile cazzeggio sulla flessibilità

Carlo Alberto Tregua

Ue, l’inutile cazzeggio sulla flessibilità

sabato 27 Dicembre 2014

Non indebitarsi, ma tagliare la spesa

Abbiamo stima di Matteo Renzi, ma sta commettendo due grossi errori. Il primo riguarda la questione della flessibilità che l’Unione europea dovrebbe accordare all’Italia. Di che si tratta? Di consentire lo sforamento del disavanzo annuale (3 per cento) della spesa per investimenti, in modo da mettere in moto l’economia, cominciare a far aumentare l’occupazione e spingere la tanto attesa crescita.
La questione in gioco non è se fare gli investimenti o meno, perché è del tutto evidente che essi siano una leva moltiplicatrice del tutto positiva. La vera questione riguarda, invece, dove prendere le adeguate risorse per finanziarli. Quando Renzi dice che vuole sforare il 3 per cento per recuperarle, implicitamente dice che vuole indebitarsi di più, emettendo buoni di Stato, che sono una sorta di cambiale.
L’aumento del debito comporta un aumento degli interessi, che gravano sul bilancio dello Stato e, per conseguenza, comprimono le risorse da destinare agli investimenti.

È vero che la Francia e la Spagna hanno sforato tale limite, portandosi al 4,5 per cento, ma è anche vero che il loro debito sovrano è inferiore di circa un terzo di quello italiano, in rapporto al Pil.
Il vero modo per finanziare gli investimenti è quello di tagliare la spesa corrente improduttiva, cioè quella parte che non serve per produrre servizi a cittadini e imprese, bensì a foraggiare maneggioni, parassiti senzamestiere e tanti altri che gravitano nel mondo della cattiva politica.
È qui il secondo grosso errore di Matteo Renzi: non avere tagliato nella legge di Stabilità, appena approvata, le partecipate comunali, riducendole, come aveva proposto Carlo Cottarelli, da ottomila a mille. Sì, qualche partecipata sarà (forse) liquidata, ma la grandissima parte di esse resterà in vita e continuerà a produrre ventisei miliardi di debiti l’anno.
Renzi avrebbe dovuto tagliare cinquanta miliardi di spesa improduttiva e girarli integralmente agli investimenti. Con ciò non avrebbe avuto bisogno di indebitare ulteriormente lo Stato, pur mettendo in moto significativamente lo sviluppo. Peccato che non abbia saputo resistere al diffuso clientelismo.
 

Il clientelismo è l’insieme di privilegi di tanta gente che sta appesa alle mammelle pubbliche senza nulla dare. Il clientelismo è la forma più classica che alimenta la corruzione, basata sulla cultura del favore.
Fino a quando non si inseriscono nella Pubblica amministrazione e nelle Istituzioni i valori di merito e responsabilità, si continueranno a foraggiare persone che non hanno nulla da apportare, ma che in compenso sottraggono risorse alle vere attività economiche, con la conseguenza di ridurre gli investimenti, i cui saldi attivi mettono in moto meccanismi positivi e fanno aumentare nettamente la velocità della moneta.
La nuova versione dell’art. 81 della Costituzione, approvata il 20 aprile 2012, prevede il pareggio di bilancio. Dunque, fino a quando essa è in vigore non si può ignorare. Ed è anche in vigore il Fiscal compact, cioè che in vent’anni l’Italia deve rientrare nel parametro di Maastricht, ovvero il quoziente del 60 per cento fra debito e Pil, mentre ora siamo al 137 per cento.

Nel nostro Paese, si stima che vi sia un’economia sommersa pari a 414 miliardi, diversa dall’evasione, perché frutto anche di uno stato di necessità che permea bassi strati della popolazione. Occorrono meccanismi per farla emergere. Il principale fra questi è la diminuzione della pressione fiscale e l’inserimento del conflitto d’interessi tra le parti, in modo da far comparire i fatturati nascosti.
La Commissione europea, presieduta da Jean Claude Juncker, ha messo in cantiere un teorico piano di investimenti per 315 miliardi, così formulato: la Bei mette 5 mld, la Commissione dovrebbe trovare risorse per altri 16, per un totale di 21 mld. Questi si moltiplicherebbero per 3 mediante prestiti obbligazionari, in modo da arrivare a 63, che con un’ulteriore leva di cinque volte, mediante project financing dei privati, diventerebbero 315. Sembra una barzelletta. Forse lo è. Ma non ne possiamo ridere.
Staremo a vedere se da queste funamboliche previsioni, si metteranno in moto gli investimenti, senza dei quali continueremo a restare con le ruote sgonfie, capaci solo di lamentarci e assistere impotenti al rogo del Paese.

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