Democrazia vera e democrazia parlata - QdS

Democrazia vera e democrazia parlata

Carlo Alberto Tregua

Democrazia vera e democrazia parlata

martedì 03 Febbraio 2015
Il 27 gennaio 1861 è stato eletto il primo Parlamento italiano. Allora, la democrazia non esisteva. Infatti,  aveva diritto al voto circa il due percento della popolazione dell’epoca, di ventidue milioni di abitanti, i quali dovevano eleggere quattrocentosettanta senatori del Regno che, però, non erano retribuiti. I candidati erano inseriti in collegi uninominali a doppio turno, per cui, nel secondo di essi, veniva eletto colui che riportava la metà più uno dei consensi.
Nonostante gli aventi diritto al voto fossero meno di cinquecentomila, vi fu un’astensione del cinquanta percento, con la conseguenza che poco più di duecentomila cittadini elessero quei quattrocentosettanta parlamentari.
La democrazia in Italia è rimasta di fatto bloccata, impedendo alla maggioranza degli aventi diritto al voto, cioè le donne, di votare, fino al fatidico 10 marzo 1946, quando finalmente il suffragio universale fu esteso a tutti i cittadini con età di ventuno anni. Un tragitto durato ben ottantacinque anni.

In questi ultimi quasi settant’anni, la democrazia italiana è stata gabbata, perché sono rimaste in vita, più forti che mai, le corporazioni fasciste, le quali hanno esercitato un potere sui poteri ufficiali per fare prevalere interessi di parte su quello generale.
La ripartizione di Charles-Louis de Secondat (1689-1755), barone de La Brède e di Montesquieu, fra potere legislativo ed esecutivo, ha avuto un’applicazione formale, cui si è aggiunto quello dell’ordinamento giudiziario che, contrariamente a quanto viene normalmente divulgato, non è un potere, pur essendo, almeno in teoria, indipendente.
La democrazia italiana è più parlata che applicata nel momento in cui non è presente nella popolazione quell’alto valore che è l’equità, e neppure quell’altro alto valore che è la possibilità di dare pari opportunità a tutti i cittadini, almeno sul punto di partenza.
E, ancora, neppure presente è quell’altro importante valore che è il merito, secondo il quale i più bravi vanno avanti e gli incapaci vengono in coda alle graduatorie.
La cultura del favore ha dominato questi settant’anni, per cui nei posti importanti, spesso, vi sono i peggiori che creano danni a cascata nella filiera e nella Comunità ove operano.
 

La democrazia parlata al posto di quella vera comporta una serie di conseguenze, perché rende deboli le istituzioni nelle quali si può infiltrare la criminalità organizzata e non crea quegli scudi indispensabili che proteggano dalla corruzione estesa, oggi maggiore di quella che c’era all’inizio di questa Repubblica.
L’istruzione che viene data ai giovani nelle scuole e la formazione nelle Università, nei decenni, hanno fortemente abbassato la qualità, con la conseguenza di fare uscire dai licei e dagli istituti professionali giovani diplomati e maturati con forti insufficienze culturali. Peggio, quello che è accaduto nelle Università ove, insieme a tantissimi brillanti e intelligenti laureati, vi è una quantità insopportabile di somari.
La responsabilità dei docenti scolastici e universitari è palpabile. Anch’essi, con i loro comportamenti mediamente insufficienti, salvo punte luminose, hanno la responsabilità della democrazia parlata anziché di quella vera. 

Il merito è quel valore secondo il quale va premiato solo chi persegua un obiettivo e consegua un risultato. Le imprese adottano questo metodo, ma esso è sconosciuto nel settore pubblico, ove dirigenti e dipendenti percepiscono regolarmente i loro emolumenti a prescindere (come diceva De Curtis) dai risultati conseguiti.
Il peggio è che la Classe dirigente italiana latita, si occupa e si preoccupa solo degli affari propri, così come fanno le corporazioni. Tutto questo ha procurato il disastro in cui è precipitata l’Italia e, ancor più, in cui si trova il Mezzogiorno.
Senza ideali, senza valori, una Comunità scade. Ecco perchè è indispensabile che le persone per bene facciano sentire la propria voce, indichino ai responsabili delle Istituzioni i loro doveri, facendo per primi il proprio.
Le parole non servono più, occorrono comportamenti positivi. Occorre il ripristino dei valori prima indicati e, soprattutto, praticati, perché serve il comportamento di ciascuno di noi che aiuti la gente a capire come il benessere di tutti si possa conseguire solo se vi è il rispetto reciproco e l’abbattimento dell’egoismo.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenta

Ediservice s.r.l. 95126 Catania - Via Principe Nicola, 22

P.IVA: 01153210875 - Cciaa Catania n. 01153210875


SERVIZIO ABBONAMENTI:
servizioabbonamenti@quotidianodisicilia.it
Tel. 095/372217

DIREZIONE VENDITE - Pubblicità locale, regionale e nazionale:
direzionevendite@quotidianodisicilia.it
Tel. 095/388268-095/383691 - Fax 095/7221147

AMMINISTRAZIONE, CLIENTI E FORNITORI
amministrazione@quotidianodisicilia.it
PEC: ediservicesrl@legalmail.it
Tel. 095/7222550- Fax 095/7374001
Change privacy settings
Quotidiano di Sicilia usufruisce dei contributi di cui al D.lgs n. 70/2017