Disparità fra redditi e capitali accumulati - QdS

Disparità fra redditi e capitali accumulati

Carlo Alberto Tregua

Disparità fra redditi e capitali accumulati

venerdì 20 Febbraio 2015

Tagliare la spesa per diminuire le tasse

Il prossimo 2 marzo, Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza entreranno in possesso dei conti bancari dei cittadini italiani e di ogni altra informazione intrattenuta fra clienti e banche. Cosicché, finalmente, saranno svelati i movimenti che ciascun cittadino effettua in ogni settore.
Le informazioni bancarie servono non soltanto a verificare le cifre tracciate con incassi e spese, ma anche per ragguagliare i redditi prodotti e dichiarati con i capitali accumulati.
Com’è noto, la legge prevede che il Fisco possa accertare i redditi fino a sei anni precedenti a quello corrente (quattro oltre quello della dichiarazione annuale). Ma, in caso di evasione, l’accertamento può essere retrocesso a dieci anni. Prima di tale termine, l’amministrazione finanziaria non può intervenire.
Dieci anni sono un arco di tempo sufficiente per capire i movimenti di ogni impresa, società o persona fisica. Mettendo a confronto i redditi dichiarati – che devono trovare riscontro nei movimenti bancari – e i capitali accumulati, si può capire se questi ultimi provengano da attività fiscalmente lecite oppure da flussi finanziari in evasione fiscale o anche da altri flussi che provengono dalla criminalità organizzata, opportunamente lavati.

Le lavanderie sono costituite da quelle attività economiche ove entrano somme in nero, mascherate da fatture di vendita o da scontrini fiscali. In questo blocco rientrano anche ristrutturazioni e spese di altro genere, portate di solito da fatture gonfiate.
Vi sono tanti altri strumenti di evasione, ma in questa analisi ci limitiamo a quelli citati.
In questo ultimo periodo la Magistratura ha sequestrato patrimoni il cui accumulo non era giustificato né da redditi prodotti, né da altre attività fiscalmente tassate. La legge consente la supposizione che tali patrimoni non si siano formati in modo legale. Sono in corso indagini perché qui da noi, in Sicilia, vi sono società che hanno patrimoni ingenti, non giustificati da redditi prodotti e dichiarati su cui sono state corrisposte le imposte.
C’è da attendersi qualche botto di personaggi noti. E la vicenda non dovrà sorprendere.
 

La pressione fiscale del nostro Paese è enorme. Strangola imprese e cittadini, soffoca gli investimenti perché quando le risorse finanziarie, sotto forma di imposte, sono sottratte ai redditi, quello che rimane serve per l’ordinaria amministrazione e non per nuovi investimenti.
L’enorme pressione fiscale è conseguente all’enorme spesa pubblica, che anche per quest’anno corrente (2015) supererà i 730 miliardi di euro, cui si deve aggiungere un’ottantina di miliardi per interessi sul debito sovrano, che è di 2.135 miliardi (ultimo dato disponibile dicembre 2014), nonostante il tasso corrisposto ai creditori si sia abbassato, con uno spread fra bond italiani e bund tedeschi che oscilla intorno a 130 punti, cioé 1,3%.
Dunque, bisogna tagliare la spesa pubblica per abbassare la pressione fiscale. Ma c’è un’altra e non meno importante ragione: tagliare la spesa pubblica anche per recuperare risorse indispensabili alla spesa in conto capitale, cioé per le infrastrutture, di cui ha vitale bisogno tutto il Paese e ancor di più il Mezzogiorno.

È vero che recuperare risorse dall’evasione fiscale è un imperativo improrogabile, ma è anche vero che se in una vasca da bagno il tappo di chiusura rimane aperto, qualunque quantità di acqua si versi non consentirà l’aumento del livello. Di quale livello parliamo? Delle risorse disponibili per la crescita e per l’occupazione.
A proposito di quest’ultima, ricordiamo che ormai essa proviene esclusivamente dalle nuove assunzioni delle imprese, perché nelle Pubbliche amministrazioni (4,4 milioni di dipendenti) vi è un esubero di un milione di persone. Altro che assunzioni.
Quando qualche politicante da strapazzo parla dell’artifizio di prepensionare i dipendenti pubblici per assumerne altri inganna la pubblica opinione, perché il prepensionamento aumenta la spesa e non la diminuisce.
Tagliare la spesa pubblica si può e si deve, soprattutto nei confronti di dirigenti, dipendenti e pensionati che percepiscono molto di più di quanto rendono o dei contributi versati. La parte eccedente è parassitaria e va eliminata. Ognuno riceva per quanto ha dato.

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