Sanità, in Sicilia debiti pagati dopo 229 giorni - QdS

Sanità, in Sicilia debiti pagati dopo 229 giorni

Serena Giovanna Grasso

Sanità, in Sicilia debiti pagati dopo 229 giorni

martedì 24 Febbraio 2015

Secondo Assobiomedica nell’Isola si trova ben l’8,4% degli importi da versare ai fornitori, ossia 247 milioni di euro. La nostra regione rileva un lieve miglioramento rispetto ai 254 giorni registrati a gennaio 2014. Nonostante ciò siamo ancora molto lontani rispetto ai 60 giorni prescritti dalla direttiva Ue 7/2011 Peggio fanno la Campania (279 giorni), il Molise (641 giorni) e la Calabria (669 giorni)

PALERMO – Sembra essere ancora lontano anni luce il rispetto della direttiva europea 7/2011, recepita dall’Italia con il decreto legislativo 192/2012. Infatti, tale direttiva con l’intento di smorzare gli effetti determinati dalla crisi economica, impone una drastica riduzione dei tempi di pagamento della pubblica amministrazione alle imprese. Trenta giorni è il limite massimo imposto, con una piccola deroga per la sanità dove il tempo di pagamento massimo tollerato ammonta a 60 giorni.
Ben lontana dal rispetto della seguente prescrizione è la situazione descritta da Assobiomedica, la federazione di Confindustria che rappresenta le imprese che forniscono alle strutture sanitarie italiane dispositivi medici. Infatti, nello scorso mese di dicembre si avvertono non indifferenti miglioramenti rispetto al quadro che emergeva ad inizio anno, ma ancora troppo esigui. Sconcertante è rilevare che nessuna delle venti regioni italiane adempie, anche se vi sono realtà territoriali che si avvicinano parecchio al tempo massimo tollerabile.
Rispetto al contesto generale, sono quattro le regioni degne di nota: nello specifico parliamo di Trentino Alto Adige con un tempo medio di pagamento alle imprese che riforniscono le aziende sanitarie pari a 70 giorni, Valle d’Aosta con 73 giorni, Marche con 78 giorni e Lombardia con 84 giorni. Dunque, si tratta esclusivamente di regioni dell’Italia Centro-Settentrionale, senza fare nessun minimo riferimento alle regioni meridionali ed insulari. In tutti e quattro i casi si tratta di tempistiche di gran lunga ridotte rispetto a quelle rilevate ad inizio anno (mediamente dieci giorni in più), considerazione che fa immaginare un’ulteriore riduzione nei prossimi mesi fino ad arrivare ad un perfetto adempimento rispetto a quanto prescritto dalla direttiva europea.
Tutt’altra storia si evince dall’esame delle regioni meridionali. In particolar modo, Assobiomedica pone agli ultimi cinque posti della classifica che analizza l’efficienza delle singole unità ospedaliere nei tempi di pagamento tre aziende ospedaliere di Catanzaro, una di Cosenza e una di Campobasso, con tempi medi che vanno dai 653 ai 1.459 giorni.
Per quel che riguarda la situazione rilevata in Sicilia, possiamo affermare di essere ben lontani rispetto alle fortissime criticità appena evidenziate, anche se il prospetto non è certamente tra i più rosei: infatti, costituiamo esattamente la quart’ultima realtà regionale per rapidità nei pagamenti alle imprese che riforniscono il settore sanitario, con tempi medi pari a 229 giorni relativamente al mese di dicembre. Anche la nostra regione ha compiuto dei sostanziali passi in avanti, non occorre di certo trascurare che a gennaio i tempi medi necessari per espletare un pagamento ammontavano a 254 giorni. Peggio della Sicilia fanno la Campania con 279 giorni, il Molise con 641 giorni e la Calabria con 669 giorni. Mentre Abruzzo e Basilicata risultano essere le regioni più virtuose del Mezzogiorno, con tempi medi di attesa rispettivamente pari a 136 e 138 giorni.
Relativamente agli importi scoperti, le cifre più consistenti devono essere versate dalla Campania che da sola ha il 12,9% dello scoperto complessivo a livello nazionale (quasi 381 milioni di euro). A seguire troviamo il Piemonte e la Calabria, entrambe le regioni debitrici del 10,7% dello scoperto nazionale (315 milioni di euro). Anche la Sicilia è debitrice di una consistente somma, in termini percentuali pari all’8,4% rispetto al valore complessivo, cioè a quasi 247 milioni di euro in termini assoluti. A corredo dell’articolo pubblichiamo una tabella allo scopo di consentire al lettore una consultazione più agevole delle singole realtà regionali.
 

 
Moneta unica responsabile della crisi secondo il 72 per cento dei meridionali
 
PALERMO – Siciliani, meridionali e italiani tutti, ormai giunti all’ottavo e ininterrotto anno di crisi cominciano a rintracciare la ragione di una tale congiuntura economica negativa nell’introduzione anche nel nostro Paese della moneta unica. Ricordiamo che l’introduzione dell’euro in Italia è avvenuta nel 1999 per quel che riguarda i pagamenti virtuali e a partire dal 2002 per quel che inerisce la circolazione fisica in forma di banconote e monete metalliche.
Se è vero che gli effetti disastrosi di una politica economica si vedono solo nel lungo corso, gli italiani adducono parecchie responsabilità dell’attuale crisi proprio all’introduzione dell’euro. Infatti, si moltiplicano ad una velocità quasi impressionante gli euro-scoraggiati. Se solo l’anno scorso l’Eurispes rilevava i malumori di un esiguo 25,7% degli intervistati che avrebbero di gran lunga preferito abbandonare l’Euro zona, oggi questo tasso percentuale sale ben al 40,1%. Il picco massimo degli euro-scoraggiati è rinvenibile nella fascia demografica più giovane, ossia quella compresa tra i 18 e i 24 anni (44,6%), anche se non sono certamente da meno gli over 65 (43,8%) e gli appartenenti alla fascia d’età dai 35 ai 44 anni (42,7%).
Gli entusiasmi nei confronti della moneta unica continuano a scemare in particolar modo nel Nord-Ovest con il 57,2% degli intervistati favorevoli ad interrompere il cammino “euro”, ma anche nel Mezzogiorno con il 43,1%. In moltissimi sono convinti che l’euro non abbia fatto altro che agevolare i Paesi più ricchi, trascurando il concetto di base dell’Europa, ossia quello di unione economica intesa anche a livello sociale e politico: sono di quest’avviso in particolar modo i cittadini del Nord-Est (32,7%) e del Centro (30%). Molti altri reputano la moneta unica responsabile della contrazione del peso della nostra economia: soprattutto nel Mezzogiorno (72%) e nel Settentrione (53,9% per il Nord-Ovest e 53,8% per il Nord-Est).
A livello occupazionale, le incertezze maggiori si rilevano tra chi ha un contratto atipico (il 47,5%), ossia quelle categorie più indebolite dalla crisi economica e dall’instabilità del mercato del lavoro. Mentre il campione degli occupati con un contratto a tempo determinato, invece, sembra dividersi a metà tra favorevoli (47,4%) e contrari (42,1%) alla moneta unica.
Di questi malumori ne ha certamente approfittato il Movimento 5 Stelle che negli scorsi giorni ha diffuso un video, definito dai più artigianale, con l’intento di promuovere l’uscita dall’area euro: il video, dal titolo  "Uscire dall’euro è possibile, ma abbiamo bisogno del tuo aiuto! Fai girare questo video e firma anche tu!", invitava gli spettatori a sottoscrivere petizioni tendenti all’uscita dalla moneta unica, invitava perché il video è stato rimosso a causa dell’uso non autorizzato dall’autore della colonna sonora di sottofondo. Non a caso, maggiori consensi all’uscita dall’euro zona si rilevano tra gli elettori del Movimento 5 Stelle (54,2%), troviamo altresì non indifferenti adesioni tra chi si colloca a destra.
Concludiamo dunque con la certezza di un ulteriore incremento degli euro-scoraggiati anche durante il corso di quest’anno se la congiuntura economica non migliorerà.

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