Spesa sanitaria, in Sicilia risulta sproporzionata - QdS

Spesa sanitaria, in Sicilia risulta sproporzionata

Serena Giovanna Grasso

Spesa sanitaria, in Sicilia risulta sproporzionata

martedì 10 Marzo 2015

Secondo il rapporto Agenas 2015 in Sicilia il costo della sanità tra il 2010 e il 2013 si è contratto dello 0,15%, a livello nazionale dello 0,28%

PALERMO – Buone notizie in arrivo dal rapporto 2015 targato Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali): quel settore che da sempre ha impiegato la fetta più consistente di denaro pubblico, ovvero la sanità, sembra stia iniziando a razionalizzare le spese contenendo maggiormente i costi.
 
Per l’appunto, secondo l’analisi condotta dall’Agenas prendendo in riferimento il periodo compreso tra il 2010 e il 2013, evidenziamo come la spesa sanitaria a livello nazionale sia diminuita esattamente di un miliardo di euro (passando da 112,6 miliardi a 111,6 miliardi). La stragrande maggioranza delle regioni ha assistito ad un abbassamento della suddetta spesa, precisamente la riduzione ha coinvolto quattordici regioni, mentre le altre cinque e le province autonome di Trento e Bolzano hanno incrementato le spese sanitarie. Proprio tra queste ultime regioni ritroviamo la Lombardia, con un incremento medio annuo nel periodo compreso tra il 2010 e il 2013 pari all’1,11%, il Friuli Venezia Giulia (+0,39%), l’Emilia Romagna (+0,44%), l’Umbria (+0,29%) e la Sardegna (+0,71%).
Relativamente alla nostra Isola rileviamo come la spesa sanitaria sia scesa dagli 8.606.583.000 euro del 2010 agli 8.566.884.000 euro del 2013, con un risparmio di 39.699.000 euro (-0,15%). Ricordiamo che proprio la Sicilia è assoggettata al Piano di rientro, ovvero quei piani stipulati tra Stato e Regioni che determinano la ristrutturazione della spesa sanitaria sfuggita di mano agli enti regionali. Dunque, questa riduzione di spesa registrata dalla nostra regione è assolutamente irrisoria, pari esattamente alla metà di quella rilavata a livello nazionale (-0,28%).
Abbiamo calcolato che la Sicilia spende mediamente 1.713 euro pro capite per i suoi oltre cinque milioni di abitanti; praticamente quasi lo stesso importo destinato agli abitanti del Veneto (1.782 euro) per servizi di qualità decisamente superiore. Rispetto agli oltre 8,5 miliardi di euro destinati spesa sanitaria complessiva, distinguiamo 2.869.506.000 euro destinati a coprire le spese per il personale e 1.233.436.000 euro per beni e servizi. Compiendo un ulteriore calcolo, ovvero dividendo la spesa riservata a coprire i costi del personale per gli abitanti, rileviamo come l’ammontare pro capite sia pari a 573 euro. È ormai affare assai noto il peso incidente in modo non indifferente del costo del personale sanitario siciliano sulla spesa pubblica: regioni con servizi di gran lunga superiori spendono nel suddetto ambito importi assai più contenuti, si pensi ad esempio alla Lombardia che spende 509 euro pro capite o ancora una volta al Veneto che ne spende 558.
Apparentemente potrebbe sembrare una differenza irrisoria, quella che passa tra i 509 euro pro capite destinati alla spesa media del personale in Lombardia e i 573 euro procapite della Sicilia. Ma così non è. Infatti, se l’Isola si adeguasse alla spesa della Lombardia spenderebbe per il personale 64 euro a persona in meno che moltiplicati per i cinque milioni di abitanti ammonterebbero ad un importo complessivo pari a 320.000.000 euro in meno.
Senza dubbio questi sarebbero i tagli da apportare alla spesa del sistema sanitario, cercando di potenziare la qualità dei beni e servizi offerti al cittadino. Al contrario, la Sicilia detiene la minore spesa pro capite in tale ambito, se rapportata con quella delle quattro regioni presenti ai primi posti della classifica Lea (Livelli essenziali di assistenza), ovvero Emilia Romagna, Lombardia, Toscana e Veneto. Al di qua dello Stretto si spendono appena 246 euro in beni e servizi, contro i 501 dell’Emilia Romagna o i 476 della Toscana.
Quindi razionalizzare la spesa non significa effettuare sconsideratamente dei tagli, al contrario eliminare il superfluo, puntando al potenziamento della qualità del servizio, così da non sentir più parlare di malasanità ed evitare quelle copiose fughe di malati che emigrano in altre regioni per ricevere cure che rispondono allo standard di qualità minimamente accettabile.

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