Quanto è bello essere precario - QdS

Quanto è bello essere precario

Carlo Alberto Tregua

Quanto è bello essere precario

mercoledì 18 Marzo 2015
Mio padre è nato nel 1896 in una famiglia di gente letteralmente povera. Dopo aver partecipato alla guerra del 1915/18 non sopportò più di rimanere povero. Cominciò a lavorare venti ore al giorno, dormendone solo quattro e alimentandosi principalmente con uova, perchè facevano perdere poco tempo.
Faceva il venditore porta a porta e, dopo una ventina di anni, uscì dalla povertà piazzandosi nel ceto medio.  è stato un precario tutta la vita ed è morto da precario, soddisfatto per quanto aveva realizzato.
Io ho cominciato a lavorare a tredici anni, ho fatto tanti mestieri e professioni, con successi ed insuccessi, ma lavorando sempre continuamente e duramente, senza padroni. Anzi no, un padrone l’ho avuto: lo Stato, perché ho insegnato, ma sono entrato dalla porta principale vincendo il concorso a cattedra.
Perché vi racconto alcuni fatti miei, che spero non vi abbiano annoiato? Per testimoniare che sono stato sempre un precario, soddisfatto di esserlo e contento di continuare a rimanerlo ancora oggi, in piena attività lavorativa, nonostante i miei settantacinque anni. 

Una delle mete più importanti che ognuno di noi deve raggiungere è la libertà: la libertà dai bisogni. Per essere liberi occorrono due cose: ridurre all’osso i bisogni stessi; guadagnare lo stretto necessario per soddisfarli e, possibilmente, per fare un po’ di risparmio. Non necessariamente bisogna lavorare per altri, anzi, è molto meglio lavorare per sé stessi, inventandosi mestieri, assecondando l’innovazione.
Qualcuno potrebbe obiettare: e se tali qualità non sono possedute? La risposta è ovvia: tutti sono dotati di cervello e di volontà, usandoli entrambi si alimenta l’inventiva utilizzando al massimo la propria volontà, la quale deve servire per capire la vita e i suoi contorni e per acquisire i saperi, che consentono di esercitare al meglio la propria attività.
Quando sentiamo dire dal Cip (Comitato insegnanti precari) che il Governo si deve preoccupare prima di loro che della scuola, arrossiamo per la vergogna. Proprio dagli insegnanti arriva un segnale di egoismo, antecedendo agli interessi generali, cioè quelli degli alunni, i propri.
 

Chi ha obbligato codesti precari ad insegnare? Qualcuno ne ha la vocazione, ma la maggior parte ha inseguito uno stipendio. Questi ultimi potevano fare ben altro, possibilmente lavorando in proprio.
Ma poi, come fanno codesti precari, ad accampare diritti? Quali titoli hanno dimostrato di avere per andare in cattedra? Quale concorso hanno mai superato diventando titolari di diritti? è vero, una classe politica clientelare ha alimentato i loro desideri approvando leggi illegittime, perché saltavano a piè pari l’articolo 97 della Costituzione, che obbliga i cittadini a fare il concorso nella Pubblica amministrazione.
In questo modo il Paese si trova con duecentomila precari nella scuola e, forse, centomila precari nelle amministrazioni locali fra ex Province, Comuni ed Enti non territoriali. E si trova anche con un milione di dipendenti nelle partecipate pubbliche di ogni livello, assunti quasi sempre per raccomandazione. Quello delle partecipate è un verminaio che nessun Governo riesce a eliminare.

Vivere da persone libere, senza dir grazie a nessuno, avendo pagato tutte le imposte sui propri redditi, è una soddisfazione che tutti possono avere. Nessuno è escluso da questa via. Ci deve mettere, ripetiamo, tutta la propria volontà e tutto l’ingegno che, normalmente, possiede.
Lamentarsi è da mendicanti. Programmare la vita ed il futuro è da persone evolute. Qualunque mestiere ha dignità, purché venga esercitato al meglio e col massimo impegno. Dignità che hanno tutti i dipendenti che lavorano bene, che non fanno i furbi e che sempre hanno la stima di capi azienda o dirigenti.
Queste note non sono un inno al lavoro autonomo, bensì al lavoro tout court, che consente di raggiungere uno stato sociale ed economico. Per cui, il lavoro autonomo e quello dipendente hanno pari dignità, a condizione che vengano svolti in base alle proprie capacità, senza chiedere o ricevere favori. In altre parole, in base al merito, cui deve corrispondere la propria responsabilità.
Ecco i valori che ci debbono accompagnare. Altro che inutili lamenti o reclami di diritti senza aver assolto i propri doveri!

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