Le banche fanno utili ma poi falliscono - QdS

Le banche fanno utili ma poi falliscono

Carlo Alberto Tregua

Le banche fanno utili ma poi falliscono

venerdì 20 Marzo 2009

Controlli inefficaci sugli amministratori

L’Unicredit ha dichiarato un utile del 2008 superiore a 4 mln di euro. Il suo amministratore delegato, Alessandro Profumo, ha subito aggiunto che l’istituto è patrimonialmente solido. Perché si è preoccupato di questa importante sottolineatura? Perché è diventata una prassi corrente che i cda delle banche, a cominciare da quelle americane, hanno sempre perseguito l’utile di gestione, in modo da accontentare gli azionisti con la sua distribuzione.
Gli azionisti, dal canto loro, vista la remunerazione del loro investimento in azioni, hanno chiuso gli occhi sul necessario controllo degli assets, della patrimonializzazione e dell’ammontare dei debiti. Per cui non si sono accorti dell’enorme sproporzione fra attivo e passivo, che poi è stata la causa del fallimento di alcune banche e del temuto fallimento di altre, poi salvate dai Governi degli Stati ove esse avevano sede.

Paradossalmente, le banche che hanno riportato utili erano quelle più deboli. Ma c’è una seconda spiegazione della logica perversa che hanno seguito i cda e i loro ceo (chief executive officer) e cioè che i loro premi venivano liquidati non sulla solidità patrimoniale delle banche, bensì sugli utili. Naturalmente, con la loro liquidazione le banche si sono definanziate perché hanno depauperato la corrispondente liquidità e,  quindi, il loro indebitamento è aumentato.
Questo scenario non ha trovato riscontro in Italia, tant’è vero che il sistema bancario è riluttante a sottoscrivere i Tremonti-bond in quanto costano il 7,5 per cento di interessi. Dal momento che le banche sono sufficientemente patrimonializzate e in equilibrio finanziario tra raccolta e impieghi, dovrebbero essere in condizioni di superare questo anno facendo minimo ricorso al finanziamento costosissimo dello Stato. L’arretratezza bancaria dell’Italia, in questa crisi, si è rivelata un elemento positivo.
Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve, sta tentando di pararsi la botta del rigurgito del sistema bancario statunitense, stampando moneta e immettendola nel circuito, con lo scopo di alimentare i piani di rilancio dell’amministrazione presieduta da Barack Obama.

Ma questa manovra, nei dodici mesi, avrà un rimbalzo negativo, costituito dall’indebolimento del dollaro nei confronti dello yen e dell’euro.
Per quanto riguarda la moneta europea, il suo rafforzamento, arrivato ieri a 1,35 dollari per euro, è una iattura, perché penalizza ulteriormente le esportazioni verso il Nord America, esportazioni che sono diminuite per effetto del regresso dei consumi in quel Paese.
Non c’è un rimedio a breve, ce lo confermava nel forum al nostro giornale, pubblicato il 14 marzo, il sottosegretario allo Sviluppo economico, Adolfo Urso. Se crollano i consumi nei Paesi ove i nostri prodotti arrivano, noi non possiamo farci nulla, se non pregare che il rilancio di quelle economie avvenga nel più breve tempo possibile.

La Banca d’Italia si è opposta fermamente al controllo dei finanziamenti reperiti dagli istituti bancari attraverso i Tremonti-bond, affinché arrivino alle piccole e medie imprese. Sostiene Mario Draghi, governatore dell’istituto di Palazzo Koch, che nel sistema bancario l’autorità politica non debba entrare in quanto è sufficiente il controllo che esercita l’ex istituto di emissione.
La posizione di Draghi presenta luci e ombre. Luci perché è corretto proteggere l’autonomia del sistema bancario italiano da ingerenze esterne. Ombre perché i controlli di Bankitalia potrebbero essere insufficienti o inefficaci. Infatti, come è noto a pochi, essa come controllore è a sua volta controllata dalle banche, come risulta evidente dalla composizione del suo capitale sociale, nel quale spiccano per partecipazione Intesa Sanpaolo, Unicredit, Assicurazioni generali, Cassa di Risparmio in Bologna, Inps, Carige, Bnl e Monte dei Paschi di Siena e tanti altri.
Probabilmente l’ipotesi del controllo prefettizio cadrà, mentre restano in piedi i controlli capillari di Bankitalia.
Il forte recupero della Borsa sulle azioni delle banche è un sintomo positivo. Se si consolida, indica che c’è un ritorno alla fiducia. Contrariamente, sarà stato solo conseguenza di un momento speculativo.

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