Senza infrastrutture il Sud non decolla - QdS

Senza infrastrutture il Sud non decolla

Carlo Alberto Tregua

Senza infrastrutture il Sud non decolla

martedì 14 Aprile 2015

Banda larga, binari e porti

La pressione fiscale, nel 2014, è salita al 43,5 per cento, ma nel quarto trimestre dello stesso anno ha raggiunto la quota ufficiale del 50,3 per cento. In un anno è aumentata del 2,6 per cento, con un’incidenza del 57,6 per cento sul Pil.
Altro che tagli sbandierati ai quattro venti dal presidente del Consiglio e dal ministro dell’Economia! Se i tagli ci fossero stati, la spesa pubblica sarebbe calata e non aumentata. Una dimostrazione che anche in questo Governo prevalgono le parole sui fatti.
Conosciamo l’effetto trascinamento, secondo il quale gli interventi hanno efficacia dall’anno successivo; ma nello scorso anno non si è vista la diminuzione della spesa pubblica, bensì il suo aumento. I dati diffusi dall’Istat sono incontrovertibili.
Il peggio del quadro indicato è che il 90 per cento dell’aumento è derivato dalla spesa corrente e solo un decimo da spese per investimenti. La macchina pubblica è carnivora, perché mangia i tessuti dei cittadini.

Invece, secondo la giusta teoria keynesiana, lo Stato dovrebbe fare aumentare fortemente la spesa per investimenti e tagliare in modo altrettanto deciso quella corrente che, di solito, serve a privilegiati e parassiti.
La spesa per investimenti significa costruire infrastrutture, modernizzando la rete ferroviaria e quella viaria, razionalizzando l’attività dei porti, che sono troppi e scollegati fra essi, intervenendo sul territorio per le opere di prevenzione contro terremoti, esondazioni, smottamenti ed altro e, ultimo ma non meno importante, per la costruzione di reti elettriche, gas, idriche e della banda ultralarga.
Senza indirizzare la spesa pubblica alle infrastrutture, il Paese non si modernizza e quella parte più arretrata, che è il Meridione, rimane inchiodata in una condizione di sottosviluppo, visto infatti che l’Ue classifica sette delle otto regioni meridionali come facenti parte dell’Obiettivo uno.
La diagnosi è chiara. I governi che si sono succeduti in questa seconda Repubblica non sono stati capaci di adottare le necessarie cure per risolvere la grave malattia, preoccupandosi degli affari dei propri adepti.
 

Il piano della banda ultralarga, di cui ci occupiamo con l’inchiesta odierna, dovrebbe consentire di far connettere tutti i cittadini a 100 Mbps (Megabit per secondo), che è un obiettivo fissato da Agenzia digitale Ue per il 2020. Peraltro il piano non è previsto per tutto il territorio nazionale, ma solo per il 50 per cento, con un incremento al 65/85 per cento in alcuni grandi centri.
In atto, la velocità media di connessione, secondo Netindex, è di 9,18 Mbps, ponendo il nostro Paese al novantaquattresimo posto nel mondo, meglio solo di Grecia e Turchia: una vergogna di fronte alla quale i governanti non arrossiscono.
Adsl 2, secondo l’Osservatorio ultrabroadband, è collegabile fino a 20 Mbps per l’80 per cento del territorio. Ma in Sicilia la situazione è molto più grave, perché solo un cittadino su due si collega alla rete, mentre vi sono centinaia di milioni di fondi europei disponibili fino al 31 dicembre prossimo nel PO 2007/13.

Con la banda larga tutto il traffico si velocizza in modo esponenziale, si ottiene una perfetta risoluzione dell’immagine, si possono sfogliare cataloghi in modo rapido ed istantaneo. La banda larga consente risposte immediate e mette in moto l’economia digitale, perché incentiva la nascita di start up, anche di poche persone che stanno in garage e in ambienti piccoli.
È vero che per attivare la rete in fibre ottiche ci vogliono dodici miliardi, fra Stato e privati, ma è anche vero che proprio su questa spesa per investimenti vanno indirizzate le risorse pubbliche, recuperandole dalla perniciosa spesa corrente che è tutta a perdere, non creando ricchezza e non facendo aumentare Pil e occupazione.
La scelta è lampante: o si alimentano i privilegiati, o si finanziano le infrastrutture (banda larga, ferrovie e porti), perché tutto non si può fare. La scelta fra privilegiati e cittadini normali dev’essere fatta in via definitiva; oppure l’Italia resterà fanalino di coda.

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