Quando il lavoro è un inferno aumentano le discriminazioni - QdS

Quando il lavoro è un inferno aumentano le discriminazioni

Antonia Cosentino

Quando il lavoro è un inferno aumentano le discriminazioni

giovedì 16 Aprile 2015

In Sicilia probabile omertà: su 252 segnalazioni, solo 8 provengono dall’Isola (di cui 6 da Catania). Unar: tra il 2013 e il 2014 cresciute le denunce, l’80% delle vittime è straniera

PALERMO – In un momento storico in cui il mercato del lavoro vive una fase complicata, con tassi di disoccupazione molto preoccupanti per il nostro Paese, c’è chi subisce anche discriminazioni che ne compromettono la vita professionale in maniera decisiva.
A denunciarlo sono i dati raccolti dall’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali della Presidenza del Consiglio dei ministri. Il 2014 purtroppo non ha permesso di registrare significativi miglioramenti: le denunce di atti discriminatori riconducibili al lavoro sono state, infatti, il 18,8% del totale, in crescita rispetto al 2013 quando si attestavano al 16%. Proprio il 2013 si era distinto per un’importante inversione di rotta rispetto ai dodici mesi precedenti (16% contro 37,7% del 2012), che però sembra essersi già interrotta. Il momento in cui si verificano più atti discriminatori è quello dell’accesso all’occupazione (79,7%), seguito dalle condizioni di lavoro (7,6%), dalle relazioni con i colleghi (5,9%) e dalle condizioni di licenziamento (3,4%).
Sono in crescita gli episodi di discriminazione riconducibili alla razza e all’etnia, che costituiscono il 53,6% (nel 2013 erano il 37,7%), più che all’età, 34,9% (nel 2013 erano il 47,8%). È straniera il 79% delle vittime, una su cinque italiana. I Paesi di origine dei soggetti discriminati sono prevalentemente Marocco (19% dei casi), Romania (9,5% dei casi), Tunisia (7,1%), Brasile (4,8%), Ecuador (4,8%), Perù (4,8%) e Ucraina (4,8%).
Gli episodi continuano ad essere segnalati in prevalenza dalle stesse vittime, anche se in misura decisamente meno frequente (si è passati dal 55,8% del 2013 al 37,3% del 2014), ma crescono le segnalazioni provenienti dalle Associazioni (27,4% nel 2014, 18,4% nel 2013) e dai testimoni (26,6% nel 2014, 21,2% nel 2013).
In totale nel nostro Paese nel 2014 i casi di discriminazione sul lavoro sono stati 252, il 18,8% del totale dei casi pertinenti di discriminazione seguiti dall’UNAR nel corso dell’anno. Nel 90,5% dei casi si tratta di discriminazione diretta, mentre nell’8,7% di molestie legate ai diversi fattori di discriminazioni quali razza/etnia, orientamento sessuale.
Tra le vittime si evidenzia che i casi riguardano più di frequente persone di sesso maschile (54,3%), mentre tra i testimoni sono le donne a segnalare più spesso le ingiustizie (50,7%). Ponendo poi l’attenzione sull’età, emerge che i segnalanti sono nella maggior parte dei casi (50,9%) persone in età centrale, tra i 45 e i 54 anni.
 
A denunciare sono per il 59% dei casi impiegati, nel caso delle vittime gli impiegati scendono al 51,9%, accompagnati dal 32,7% di operai. Un ulteriore dato è costituito dal fatto che nella stragrande maggioranza dei casi, pari al 92,1%, le discriminazioni vengono denunciate attraverso canali passivi: il sito web dell’UNAR e via e-mail, le modalità privilegiate. Tutti dati che ovviamente non tengono conto del sommerso, le cui proporzioni sono difficili da quantificare.
In Sicilia i casi denunciati sono stati 8: 6 solo nella provincia di Catania, 1 a Ragusa e 1 a Palermo. Con questo numero la nostra regione si colloca tra quelle con meno episodi di discriminazione, quantomeno denunciati, preceduta solo da Campania e Sardegna, entrambe con 6 casi, Marche, Basilicata e Abruzzo, con 4 casi ciascuna. La Regione con il più alto tasso è la Lombardia, con ben 62 casi, seguita da Puglia (32), Piemonte (27) e Lazio (25). In Sicilia il fattore dell’età è quello che incide di più nelle discriminazioni, coprendo 6 casi su 8.
La nostra regione farà parte di un progetto specifico, avviato dall’Unar lo scorso gennaio, per l’emersione e il contrasto delle discriminazioni e del lavoro irregolare delle categorie svantaggiate, che promuoverà, attraverso attività di ricerca, una migliore conoscenza del fenomeno, l’attivazione di sportelli informativi e campagne di comunicazione e la sperimentazione di un modello di intervento basato sul dialogo sociale.

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