Laurearsi in Sicilia rende meno, lavora solo il 28% dei dottori - QdS

Laurearsi in Sicilia rende meno, lavora solo il 28% dei dottori

Michele Giuliano

Laurearsi in Sicilia rende meno, lavora solo il 28% dei dottori

martedì 26 Maggio 2015

Indagine di Alma Laurea: nell’Isola meno occupati per chi conquista il prezioso “pezzo di carta”. I risultati fanno riferimento alla laurea di I livello: la media italiana è del 41%

PALERMO – Un laureato in Sicilia vale quanto il resto dell’Italia? Se parliamo a livello prettamente formale una laurea vale tanto quanto, ma se invece tocchiamo il tasto dell’effetto sul territorio la differenza è abissale. In pratica se una laurea la si deve spendere sul mercato del lavoro in Sicilia vale meno.
Lo dicono impietosi i numeri del XVII Rapporto “Alma Laurea” nel quale sono stati coinvolti quasi 490 mila laureati di 65 università italiane. Guardando alle statistiche prettamente siciliane emerge che ad un anno dalla laurea di primo livello il tasso di occupazione dei neolaureati triennali a Catania (città siciliana in cui è stato effettuato il test, ndr) è pari al 28 per cento (contro il 41 per cento della media nazionale). Il 18 per cento è dedito esclusivamente al lavoro, mentre il 10 per cento coniuga la laurea magistrale con il lavoro, mentre chi continua gli studi con la laurea magistrale senza lavorare è circa il 61 per cento, un dato più elevato della media nazionale pari al 54 per cento.
L’indagine ha coinvolto i laureati di primo e secondo livello del 2013, 2011 e 2009 intervistati rispettivamente a uno, tre e cinque anni dal titolo. A Catania sono stati coinvolti, con un tasso di risposta dell’84 per cento, 3.905 laureati triennali e 1.841 laureati magistrali biennali usciti nel 2013 dall’Ateneo catanese e intervistati dopo un anno, ovvero nel 2014. Tra chi ha comunque un’occupazione, il lavoro stabile coinvolge, ad un anno dalla laurea, il 38 per cento per i detentori di laurea di primo livello (più della media nazionale che è del 33 per cento).
Gli occupati che non hanno un lavoro stabile rappresentano il 62 per cento (prevalentemente con contratti a tempo determinato, mentre il 17 per cento è senza contratto). Il guadagno è in media di 847 euro mensili netti a Catania mentre a livello nazionale è di 1.008 euro. Per quanto riguarda i laureati magistrali, a dodici mesi dalla conclusione degli studi, risultano occupati il 47 per cento contro una media nazionale del 56 per cento. Il 10 per cento dei laureati continua la formazione (a livello nazionale è il 14 per cento), chi cerca lavoro è il 43 per cento dei laureati magistrali, (a fronte del 30,5 per cento del totale dei laureati magistrali italiani). Nell’arco dell’anno post-laurea il lavoro è stabile per 44 laureati occupati su cento di Catania, un valore decisamente superiore alla media nazionale (34 per cento).
A guardare le statistiche, dunque, il divario economico tra Nord e Sud viene via via rosicchiato col passare degli anni. Facile comunque da queste statistiche capire il motivo per cui la Sicilia è afflitta dal fenomeno dell’abbandono dei suoi “cervelli”. Intervenuto recentemente ad un convegno organizzato ad Alcamo dall’associazione “Ideazione”, il Rettore dell’Università di Palermo, Roberto Lagalla, ha in qualche modo confermato questo gap: “Il problema essenziale per la Sicilia – ha sottolineato – è che bisogna investire su ciò che già si ha, come agricoltura e turismo. Questi sono i settori per cui ci sono importanti spazi di lavoro ma deve esserci un collegamento con tra le università e il territorio affinchè si possa sfruttare questo sistema”.
 

 
Lo stage aumenta le opportunità occupazionali
 
Ciò che viene fuori da questo Rapporto è che la laurea, oggi, è ancora una garanzia contro la disoccupazione. I laureati godono di vantaggi rispetto ai diplomati sia nell’arco della vita lavorativa sia nelle fasi congiunturali negative come quelle attuali. A cinque anni dal conseguimento l’occupazione, a prescindere dal tipo di laurea, è prossima al 90 per cento, anche se in calo rispetto al passato. Eppure l’Italia si trova ancora agli ultimi posti per numero di laureati nelle fasce di età comprese tra i 55/64 anni e tra i 25/34 anni (solo il 22 per cento) mentre la media europea a 21 Paesi è pari al 37 per cento, la media Ocse è pari al 39 per cento. L’indagine mostra una sostanziale tenuta del tasso di occupazione ad un anno dal titolo. Per i laureati triennali (considerando che il 54 per cento continua con la laurea magistrale) è pari al 66 per cento, per i laureati magistrali biennali è 70 per cento, mentre quelli magistrali a ciclo unico (architettura, farmacia, giurisprudenza, medicina, veterinaria) è del 49 per cento. L’aver effettuato stage ed esperienze di studio all’estero durante gli studi possono aumentare le possibilità di trovare un lavoro del 20 per cento.

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