Fisco: l’Ue chiede sanzioni proporzionate - QdS

Fisco: l’Ue chiede sanzioni proporzionate

Salvatore Forastieri

Fisco: l’Ue chiede sanzioni proporzionate

sabato 30 Maggio 2015

Nell’Unione Europea non esiste un “codice” che regoli in maniera organica l’imposizione diretta, diritto delle obbligazioni, diritti reali. L’Italia si allinea a un sistema basato sulla legge e sullo spirito del legislatore simile al “Common law”

PALERMO – È un fatto molto evidente che tutte le disposizioni legislative emanate debbono essere applicate, senza nessuna eccezione. Eppure, con l’appartenenza dell’Italia all’Europa, si sta creando un sistema che sta portando il nostro ordinamento giuridico, sostanzialmente ispirato al “Civil law”, basato principalmente sulla legge e sullo spirito del legislatore ed applicato nella maggior parte dei Paesi del mondo, ad assomigliare sempre di più al “Common law”, tipico dei sistemi giuridici anglosassoni.
In pratica, proprio come avviene nei Paesi anglosassoni, anche in Italia si sta formando un sistema sempre in evoluzione, costruito sui precedenti giurisprudenziali più che su codici o, in generale, su leggi e su altri atti normativi provenienti dagli organi politici.
Il motivo sta nel fatto che il nostro ordinamento giuridico, compreso evidentemente quello fiscale, a causa dell’appartenenza all’Unione Europea, nonostante le naturali resistenze degli organi politici e amministrativi nazionali, risulta fortemente condizionato dalle disposizioni comunitarie e dalla sentenze della Corte di Giustizia.
Si ricorda che nell’Unione Europea, pur in presenza del Trattato dell’Unione del 1957 e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea 2010, non esiste un “codice” che regoli in maniera organica, per tutti i Paesi membri, questioni fondamentali come l’imposizione diretta, diritto delle obbligazioni, diritti reali, diritto commerciale, diritti reali, ecc.
Si è creato, però, una sorta di “diritto derivato” costituito dalle direttive, dai regolamenti e dalle sentenze della Corte di Giustizia, che comunque affermano principi fondamentali, ed ai quali anche l’Italia, come tutti gli altri Paesi membri, sono tenuti ad uniformarsi.
Si tratta, come già detto, di principi fondamentali, tra i quali, a titolo di esempio, si ricorda la certezza del diritto, l’irretroattività della legge penale, la proporzionalità dell’azione amministrativa, il rispetto dei diritti quesiti, il legittimo affidamento o l’affidamento dei terzi in buona fede, la sussidiarità, la legalità, il ragionevole termine dei processi, le discriminazioni fondate sul sesso, sulla razza, sulla religione, sulle convinzioni personali, gli handicap, l’età e le tendenze sessuali.
Altri principi fondamentali sono poi specificatamente previsti in materia di Iva, principi, come la neutralità, la detrazione, la discrezionalità, l’esenzione e la lotta alle frodi, sui quali deve fondarsi la normativa comunitaria e, quindi, quella nazionale.
è comunque frequente il caso in cui, data la prevalenza della normativa comunitaria su quella nazionale, le disposizioni del nostro Paese risultano assolutamente “in bilico”, con una “precarietà” che fa riflettere sulla necessità di approfondire meglio le regole nazionali o quelle europee.
Con specifico riguardo all’Iva, disciplinata nel nostro Paese dal D.P.R. 633 del 1972, con l’andar del tempo è stato facile accorgersi come quella normativa abbia perso molta della sua efficacia, dovendosi sempre fare riferimento alle direttive comunitarie in materia, nonchè alle sentenze della Corte di Giustizia che le fanno applicare dagli Stati membri più restii.
In effetti la normativa Iva europea, di cui è figlia quella nazionale, spesso  non si coniuga bene con le disposizioni (civili, commerciali, penali ed amministrative) applicate nei diversi Stati, per cui, specialmente a causa delle naturali resistenze degli Stati membri, i conflitti interpretativi che scaturiscono dalla differenza di significato di alcune definizioni base della normativa, sono molto frequenti.
L’attività “stabilizzatrice” comunitaria, specialmente con i suoi “regolamenti”, le sue “direttive”, le sue “decisioni” e le sue “sentenze”, pertanto, appare essenziale in un sistema dove i diversi Stati membri vogliono mantenere le specifiche caratteristiche dei loro ordinamenti giuridici ma devono adattarsi alle regole necessarie per consentire l’uniforme applicazione delle disposizioni tributarie europee.
Tra le questioni, di natura fiscale, nelle quali l’intervento comunitario è risultato più frequente ed incisivo c’è quello che riguarda il nostro sistema sanzionatorio amministrativo-tributario.
La Corte di Giustizia Europea, infatti, con numerose sentenze, tra le quali la n.C-259 del 20 giugno 2013,  ha affermato il principio della proporzionalità della sanzione alla gravità della violazione, demandando al giudice nazionale la verifica della sussistenza delle condizioni per ritenere non applicabile la sanzione stabilita dalla normativa nazionale ritenuta eccessiva e sproporzionata. 
Secondo i giudici comunitari, in certi casi, anche la sanzione pari all’imposta, come avviene spesso nel nostro sistema sanzionatorio fiscale, può essere considerata sproporzionata. 
Può essere ritenuta sproporzionata anche la sanzione per tardivo versamento pari al 30%. Ed è forse per questo motivo che nel 2011 è stato previsto, oltre al ravvedimento operoso “lungo” e “breve”, anche quello da effettuare entro 14 giorni dalla scadenza, con la riduzione della sanzione ordinaria del 30%, allo 0,2% per ogni giorno di ritardo.
Sulla specifica questione relativa all’applicabilità di sanzioni proporzionali in caso di irregolarità formali commesse nell’applicazione del “reverse-charge”, la Corte di Cassazione, recentemente, con Sentenza n.7576 del 15/4/2015, ha preso atto della Sentenza della Corte di Giustizia “Indexx”, allineandosi anche alle precedenti pronuncia della stessa Corte di Giustizia nelle Cause “Ecotrade” (Causa 95/07 dell’8/5/2008) ed “Equoland” (Causa C-272/13 dell’17/7/2014).
Con queste sentenze è stato ribadito il principio secondo il quale la mancata o irregolare applicazione del reverse-charge, se non incide nel pagamento del tributo, costituisce violazione di natura formale, per cui non può comportare una limitazione della detrazione o una sanzione “proporzionale” che, di fatto, comporti la perdita del diritto di detrarre l’imposta.
 

 
Frodi Iva: Legislatore e Amministazione finanziaria si devono attenere a prescrizioni Ue
 
Diverso è il caso delle frodi Iva. La Corte di Giustizia, infatti, ha tentato di fare chiarezza sulla questione, affermando (vedasi Sentenza C-133/13 del 2014) che, nelle ipotesi di reato concernenti l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni “soggettivamente” inesistenti, la responsabilità del cessionario può essere ipotizzata solo quando si riesca a dimostrare, alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal destinatario della fattura verifiche che non gli incombono, che il destinatario sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’ operazione si inseriva in un’evasione dell’Iva, circostanza che spetta comunque al giudice nazionale verificare.
Quando la violazione riscontrata, invece, corrisponde ad una frode effettiva all’erario nazionale e comunitario, qualunque sanzione viene considerata legittima, anche quelle che dovessero comportare un reiterato recupero dell’imposta, a nulla influendo, in questo caso, la deroga al principio della neutralità dell’Iva alla quale normalmente si fa riferimento (vedasi Causa “Italmode” Sentenza 18/12/2014).
Alla luce delle considerazioni fin qui esposte, appare evidente quanto sia necessario che il nostro Legislatore e la nostra Amministrazione Finanziaria si attengano alle prescrizioni europee, comprese quelle riguardanti l’importantissima questione della proporzionalità delle sanzioni. Un problema, quest’ultimo, sul quale, invece, sembra venga prestata pochissima attenzione visto che si continua ad inventare, o comunque mantenere, sanzioni che, nella maggior parte dei casi, nella speranza di un improbabile effetto deterrente, risultano assolutamente sproporzionate alla effettiva gravità della irregolarità commessa, dando luogo, in questo modo, a tante controversie inutili che, come abbiamo visto, anche dopo l’intervento europeo, si risolveranno molto probabilmente in maniera favorevole ai contribuenti.

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