Un solo figlio o più di uno? Le intenzioni di fecondità al Sud - QdS

Un solo figlio o più di uno? Le intenzioni di fecondità al Sud

Serena Giovanna Grasso

Un solo figlio o più di uno? Le intenzioni di fecondità al Sud

mercoledì 03 Giugno 2015

Istat: nel Mezzogiorno il 42% delle donne vuole ripetere l’esperienza “maternità”, il 53% entro 3 anni. Le famiglie rinunciano a “raddoppiare” per motivi economici e legati all’età

PALERMO – Siamo una popolazione destinata al progressivo ed inevitabile invecchiamento, determinato dal contrarsi del numero dei nuovi nati e dall’allungarsi dell’età media. Un fenomeno dalla valenza negativa che si abbatte indistintamente lungo tutto lo Stivale, senza possibilità alcuna di operare distinzioni sulla base dell’area geografica di pertinenza. In particolar modo, già lo scorso 28 ottobre la Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) denunciava nell’Italia meridionale ed insulare un sorpasso delle nascite tutto a vantaggio del numero dei decessi. Bisogna risalire fino al 1918, anno che decreta la fine della prima guerra mondiale, per incontrare un fenomeno dalla gravità simile a quella odierna. Proprio quel Mezzogiorno rinomato per le famiglie numerose, lo scorso anno ha registrato appena 177 mila nascite, il minimo storico dal 1861.
Spesso ci siamo occupati di rilevare il contesto demografico italiano e meridionale e il numero medio di figli. In questa sede, ci occuperemo di rilevare l’intenzione di fecondità delle madri dopo il primo figlio, la programmazione di tale attività e l’effettivo compimento dei progetti e desideri.
Secondo quanto riportato dal rapporto “Avere figli in Italia negli anni 2000” curato dall’Istituto di statistica nazionale, il 42% delle donne meridionali, a distanza di due anni dal parto, si dichiara molto propensa ad affrontare nuovamente il percorso “maternità”, il 4% in più rispetto alla propensione rilevata al Settentrione. Propensione destinata a crescere esponenzialmente se si proietta l’intenzione in un lasso di tempo particolarmente concentrato e ridotto dei prossimi tre anni: infatti, in questo caso è possibile rilevare una propensione pari al 53,4% nel Mezzogiorno, contro il 50,1% al Settentrione. Mentre per quel che riguarda il numero medio di figli che ciascuna donna intende avere nel corso della propria vita ripetendo il percorso di maternità, abbastanza lieve è la differenza che separa il Mezzogiorno dal Settentrione: infatti, mentre per le donne residenti nell’Italia meridionale ed insulare il numero medio di figli attesi è pari a 2,34, nel Settentrione si parla di 2,29 figli e al Centro di 2,21 figli.
Abbastanza interessante anche il discorso relativo all’età in cui le donne interessate dall’intervista Istat vogliono concludere il percorso procreativo: a fronte dei 31 anni medi per diventare mamma per la prima volta, la donna intende concludere il proprio percorso procreativo all’età di 36,6 anni. In genere, si intende concludere il percorso procreativo a distanza solo di qualche anno dalla nascita del primo figlio, così da concentrare l’esperienza riproduttiva e l’impegno che ne consegue entro un breve lasso di tempo.
Purtroppo, il progressivo allungarsi dell’età media determina maggiori rischi di infertilità, poiché ci si espone a maggior rischi di non riuscire a dar seguito ai propri progetti riproduttivi per ragioni bio-fisiologiche, ma anche per l’insorgenza di problemi di salute.
Mentre di ordine prevalentemente economico sono le ragioni che spingono le donne diventate mamme per la prima volta tra il 2010 e il 2011 a non ripetere l’esperienza: infatti, tale spiegazione è stata fornita nel 23,4% dei casi, seguono i motivi legati all’età (15,5%) e le preoccupazioni legate al percorso gravidanza (8,8%).
 


Piano per la fertilità. Il progetto intende informare e offrire adeguata assistenza
 
Proprio sulla materia si è recentemente espresso il ministero della Salute con il Piano nazionale per la fertilità. Si tratta di un programma che si impone l’obiettivo di informare i cittadini sulla durata della fertilità e sulle modalità di protezione di questa. Inoltre, il piano intende fornire assistenza sanitaria qualificata per difendere la fertilità,  promuovere interventi di prevenzione e diagnosi precoce al fine di curare le malattie dell’apparato riproduttivo e intervenire, ove possibile, per ripristinare la fertilità naturale. Intervenire sulla fertilità equivale ad investire sul futuro. Infatti, la bassa soglia di sostituzione nella popolazione non consente di fornire un ricambio generazionale; al contrario, la popolazione procede verso un progressivo ed inevitabile invecchiamento. La combinazione tra la persistente denatalità ed il progressivo aumento della longevità conducono a stimare che, nel 2050, la popolazione inattiva sarà in misura pari all’84% di quella attiva. Questo fenomeno inciderà sulla disponibilità di risorse in grado di sostenere l’attuale sistema di welfare, per effetto della crescita della popolazione anziana inattiva e della diminuzione della popolazione in età attiva.

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