Riforma scuola, potere ai capitani - QdS

Riforma scuola, potere ai capitani

Carlo Alberto Tregua

Riforma scuola, potere ai capitani

mercoledì 24 Giugno 2015

Catena di controllo dei risultati

L’aspetto più grave del mal funzionamento della Scuola italiana è la mancanza di controllo dei risultati. A giudicare dal declino della qualità dell’insegnamento di questi ultimi decenni e dalla modesta preparazione dei maturati nonché dei laureati, si deve dedurre come la qualità media dei docenti delle scuole sia molto calata.
Non avere più bandito concorsi da oltre dieci anni, avere arruolato gli insegnanti attraverso l’accattonaggio dei punti o altre forme di reclutamento, ha formato una massa di cosiddetti precari, le cui competenze non sono mai state validate dai concorsi.
È vero che sono stati effettuati corsi abilitanti di vario genere, ma essi non hanno il rango della severa selezione concorsuale.
Nelle scuole, il preside, ora denominato dirigente, ha perso negli anni autorevolezza e autorità per l’effetto malsano del Sessantotto, quando una sinistra radicale e stupida decretò che tutti gli alunni dovessero essere promossi con il sei o diciotto politico. Oggi la Comunità italiana ne paga le conseguenze. 

La riforma della scuola ha cercato d’inserire nel suo funzionamento i valori di merito e responsabilità, dando vigoria al capo dell’istituto e conferendogli poteri nella gestione. In altri termini ha voluto inserire la figura del capitano, essenziale al comando di navi, di aerei, di imprese, ove chi ha la responsabilità di dirigere, per ottenere risultati deve avere anche gli strumenti in modo da indirizzare la sua struttura.
I capitani  sono soggetti a controlli. Ogni sei mesi vi sono quelli di natura fisica e psichica. Inoltre essi debbono agire in base a rigorosi protocolli e tutto quello che fanno o accade a bordo viene registrato nelle cosiddette scatole nere.
Il che significa che, se da un canto essi possono disporre secondo la propria competenza e il proprio giudizio, dall’altro sono sottoposti a una catena di comando che governa tutta la filiera.
Fuori dall’esempio, nella scuola il Ministero dovrebbe stabilire protocolli rigorosi di funzionamento, con obiettivi di qualità predeterminati, con i quali verrebbe stabilita la funzione dei capitani-dirigenti. Ovviamente i protocolli andrebbero sui siti per verificare la loro applicazione.
 

La filiera parte dal Ministero, arriva ai dirigenti, passa agli insegnanti e ai dipendenti amministrativi. Essa deve prevedere il miglior utilizzo delle risorse finanziare e umane.
Va da sé che insegnanti debbano essere valutati, pur nella libertà dell’insegnamento, in modo che rispondano a precise caratteristiche conseguenti allo stesso.
Che negli istituti vi debba essere democrazia è del tutto pacifico. Ma democrazia non vuol dire caos. La compartecipazione a fissare gli indirizzi generali da parte delle famiglie, degli studenti, degli insegnanti e del personale amministrativo, non può tradursi in un annacquamento del potere-dovere del capitano, il quale deve essere responsabilizzato al massimo e rispondere per quello che fa o non fa, per quello che fa bene o male.
Rispondere a chi? Ovviamente a una squadra d’ispettori che già nella sede centrale, attraverso i dati informatici che dovrebbero pervenire ogni giorno, sono in condizione di controllare l’andamento di ognuno degli oltre 68.000 istituti italiani. 

Nel sistema tributario esistono i cosiddetti studi di settore, che peraltro sono in forte discussione. Anche nella Scuola si potrebbero formare  griglie entro cui inserire i parametri di ogni scuola, per verificarne efficienza, qualità e buon funzionamento.
Conseguenza di queste verifiche dovrebbe essere la remunerazione ai dirigenti, agli insegnanti ed al personale amministrativo, suddividendola in una parte fissa e una parte variabile in funzione dei risultati stessi.
Un’ultima questione riguarda le ore lavorative degli insegnanti, per legge stabilite nel numero di 18 per settimana, ma con un periodo ampio di ferie che normalmente va dal 20 giugno all’1 settembre.
Vero è che molti insegnanti, con materie ove previsto lo scritto devono correggersi i compiti; vero è che si devono riunire in diversi consigli (classe, istituto, ecc); vero è che hanno diversi adempimenti amministrativi; ma resta il fatto che il loro insegnamento è limitato a 18 ore settimanali contro 36 dei loro colleghi statali e 40 ore di quelli del settore privato.

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