Jobs Act e dubbi interpretativi su art. 4 Statuto dei lavoratori - QdS

Jobs Act e dubbi interpretativi su art. 4 Statuto dei lavoratori

Federico Arcidiacono

Jobs Act e dubbi interpretativi su art. 4 Statuto dei lavoratori

sabato 11 Luglio 2015

L’art. 23 della bozza del decreto di attuazione della delega sulle semplificazioni è fonte di caos. Utilizzo di strumenti di controllo a distanza dell’attività del personale impiegato

CATANIA – Il Jobs Act (l. 183/2014) renziano ha continuato a dividere l’opinione pubblica, sollevando con relativa facilità l’ira di ogni tipologia di sindacato. Questa volta a finire nell’occhio del ciclone è la bozza del decreto attuativo della delega sulle semplificazioni (per il quale sono attesi i relativi pareri parlamentari entro il 16 luglio 2015) che prevede, all’articolo 23, la proposta di modifica dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori. Ancora una volta la mancanza di informazione può portare ad interpretazioni fuorvianti, soprattutto se c’è in gioco una tematica così calda come il diritto dei lavoratori.
Analizzando la proposta di legge emergono tre principali punti su cui è necessario riflettere prima di lasciarsi trascinare dal marasma caotico delle affermazioni, che si sono succedute anche troppo copiosamente. Approfondiamo i tre punti di seguito:
PRIMO COMMA – “Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali”. Le modifiche non appaiono poi così rilevanti, infatti si legge l’aggiunta di un solo elemento che non compariva nella precedente normativa, ovvero il termine “tutela del patrimonio aziendale”, che viene inserito tra le finalità da perseguire nell’attuazione del controllo sul dipendente. Rimane quindi necessario che per l’attuazione del controllo vi sia esplicito consenso da parte dei sindacati di riferimento e del lavoratore.
SECONDO COMMA – “La disposizione di cui al primo comma non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa, e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze”. Il secondo comma risulta più opaco del primo e probabilmente è quello che si presta più ad interpretazioni dubbie. In base a quanto si legge, sembrerebbe che vengano, ovviamente, esclusi dall’obbligo di accordo sindacale i sistemi di controllo degli accessi (controllo dell’accesso ai locali lavorativi e alla strumentazione), e del controllo delle presenza a lavoro, entrambi elementi sensati. Non è ben chiaro cosa rimanga soggetto all’obbligo di accordo con i sindacati. Il controllo sembrerebbe estendersi solo agli strumenti fisici usati dal lavoratore e messi a disposizione dal datore di lavoro, quindi i computer e vari sistemi hardware. Dovrebbero invece rimanere nei confini dell’accordo sindacale l’accertamento su tutto ciò che non è strettamente inerente al lavoro, quindi: email personali, applicazioni dati sensibili e quant’altro che non sia legato direttamente all’attività lavorativa. Il condizionale è d’obbligo però, in quanto il “politichese” si esprime in tutta la sua imprecisione nelle poche righe del secondo comma.
3. “Le informazioni raccolte ai sensi del primo e secondo comma sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal d.lgs. 196/03”. Rimane quindi inalterata la necessità di rispettare l’obbligo informativo di cui all’art. 13 d.lgs 196/03, senza cui le informazioni ottenute dal controllo sono del tutti inutilizzabili.
La proposta nel insieme risulta sicuramente rilevante ma portatrice di due vie di interpretazioni. Se da un lato pone una sorta di fine alla vaga normativa del passato, dall’altro genera perplessità a causa dei termini in cui, come visto, è esplicato il secondo comma.
In ogni caso, soprattutto per tematiche così delicate, andrebbe adottato un atteggiamento più pacato, capace di creare un dialogo attivo sulle perplessità e che si prefigga come obiettivo l’informazione onesta del cittadino, in modo da renderlo partecipe e capace di comprendere e decidere sulle normative che regolano la vita quotidiana.
 


Diritti del lavoratore. Segretario Cgil Camusso e Uil Barbagallo vs Squinzi
 
La proposta di modifica dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori ha recentemente generato uno sciame di affermazioni, provenienti in larga parte dagli esponenti dei sindacati.
Susanna Cammusso, segretario della Cgil ha ribattuto a caldo sulla normativa, definendola “spionaggio contro i lavoratori”, accostandola senza problemi al “Grande fratello” orwelliano e dicendosi “molto preoccupata”. Secondo Carmelo Barbagallo, segretario della Uil, il provvedimento “rappresenta l’ennesimo strumento di un neoliberismo dalla faccia buona, ma non meno sfrenato di quello antico. La materia era regolamentata dalla contrattazione. Valuteremo insieme a Cgil e Cisl quali strade percorrere per far modificare questa norma”.
Non ha tardato la risposta del fronte imprenditoriale, Squinzi il presidente di Confindustria ha replicato alle accuse della Camusso affermando che “nessuno ha l’intenzione di spiare i dipendenti, chi ha la coscienza pulita non dovrebbe temere nessun tipo di controllo”. Il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, ha sottolineato invece che “per fugare ogni dubbio sarebbe sufficiente che l’utilizzo dei nuovi strumenti, come telefonini o tablet, fosse stabilito da accordi tra le parti sociali”. Il ministro del Lavoro ha comunque manifestato l’interesse di “ascoltare tutti: se dovessimo renderci conto che la norma si può migliorare, la miglioreremo”.

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