Lo scudo di Tremonti sanatoria generale - QdS

Lo scudo di Tremonti sanatoria generale

Carlo Alberto Tregua

Lo scudo di Tremonti sanatoria generale

mercoledì 04 Novembre 2009

Cinque miliardi il prezzo del silenzio

Il ministero dell’Economia ha stimato in 5 miliardi l’imposta sul rientro dei capitali esportati in questi decenni perché ritiene che 100 dei circa 400 miliardi sparsi per il mondo ritorneranno. La valutazione si basa anche sulla necessità da parte di tanti imprenditori, soprattutto piccoli, di utilizzare risorse finanziarie che si trovano fuori dai confini nazionali.
Sarebbe lungo analizzare l’elenco delle motivazioni che hanno indotto i nostri connazionali, del Nord soprattutto, a esportare i propri soldi. Fra esse possiamo individuarne alcune. La prima riguarda il clima di sfiducia dagli anni ‘60 in avanti, quando incombeva il pericolo comunista, anche se esso era più teorico che concreto.
Ma poi la gente non aveva fiducia nei governi che, a partire dagli anni ‘80, allargarono i cordoni della borsa comportando svalutazioni multiple della lira che taglieggiavano i risparmi. Vi è una terza ragione di esportazione della moneta e riguarda le aziende multinazionali che col sistema di maggiori e minori fatturazioni riuscivano (e riescono) a lasciare all’estero le proprie risorse finanziarie.

Una questione a parte è quella che riguarda la criminalità organizzata, la quale non aveva (e non ha) interesse di mantenere in Italia le proprie riserve perché soggette a colpi conseguenti ad inchieste di magistratura e forze dell’ordine.
Dal breve esame che precede si comprende come sia in parte falso l’assunto che chi ha depositi all’estero abbia evaso le imposte, perché c’è di peggio, in quanto tali depositi possono essere frutto di reati. L’operazione che ha fatto l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) di redigere la lista nera, la lista grigia e quella bianca in modo da individuare Stati canaglia o quelli che collaborano in un rapporto di trasparenza, ha portato molti di essi ad uniformarsi alla regola dello scambio d’informazioni automatico. Per entrare nella white list è sufficiente che uno Stato firmi almeno 12 convenzioni con altrettanti Stati. Molti di essi lo hanno fatto, per cui ormai Stati fuori dalla convenzione internazionale ne restano pochi.

 
Tutto ciò in apparenza, perché in effetti all’interno della stessa Ue vi sono dei membri che non si attengono all’automatismo dello scambio delle informazioni, per esempio il Lussemburgo, l’Austria, il Principato di Monaco. Ma la stessa Gran Bretagna ha al suo interno dei territori (isole Cayman) che non osservano le regole dello scambio delle informazioni.
Il paradosso si completa, per quanto riguarda il nostro Paese, con l’autorizzazione dei nostri massimi istituti di credito (Unicredit e Intesa San Paolo) a mantenere in vita proprie filiali in quei paradisi fiscali dove l’anonimato è la regola generale indiscussa. Se veramente si volesse combattere il trasferimento all’estero dei capitali italiani, bisognerebbe chiudere questi rubinetti. Ed anche quelli che funzionano al contrario e cioè l’apertura di filiali in Italia di banche estere che non hanno firmato la convenzione con il nostro Paese, per esempio la Svizzera.
Ma in un quadro che si mondializza sempre di più è impossibile realizzare quanto precede perché gli scambi commerciali hanno bisogno di essere agevolati e non frenati. 

Le iniziative di Tremonti contro la Svizzera sembrano a prima vista una reazione al freno delle trattative da parte di essa. La confederazione Elvetica, costituitasi oltre 700 anni fa (1291), non si può permettere di aprire lo sportello informativo perché questo costituirebbe lo svuotamento dei depositi soprattutto nel cantone tedesco vicino la Germania, in quello francese vicino allo Stato transalpino e nel canton Ticino vicino all’Italia. 
Il blitz della GdF su impulso del ministro dell’Economia nei confronti dei 76 sportelli di banche svizzere ubicate in Italia, sembra fatto più per inasprire i rapporti che non per facilitarli. Quasi a voler indurre lo Stato elvetico a trincerarsi dietro la negazione alla collaborazione. Peraltro esso è già stato inserito nella white list avendo firmato le convenzioni con 12 Paesi, quindi non ha nulla da temere se non firmerà la convenzione con l’Italia. 
Lo scudo fiscale ha lo scopo di far cassa, assicurando l’anonimato ai possessori di quei 100 miliardi di euro che verosimilmente rientreranno entro il 15 dicembre prossimo. Molti di tali capitali, resi così anonimi per legge, potranno essere utilizzati, ahinoi, anche per scopi non leciti.

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