Ma Tutino l’ha detta quella frase? - QdS

Ma Tutino l’ha detta quella frase?

Carlo Alberto Tregua

Ma Tutino l’ha detta quella frase?

martedì 04 Agosto 2015

Crocetta non nega la telefonata

Intorno all’intercettazione della presunta telefonata fra Matteo Tutino e Rosario Crocetta si è creato un casus belli che ha stornato l’opinione pubblica dal nocciolo del problema, che di seguito specifichiamo.
La vicenda sembra scritta da Georges Feydeau (1862 – 1921), famoso per le sue pièces esilaranti basate su equivoci a rotazione.
Ci sembra che la vicenda in esame sia piena di equivoci, forse voluti, perché si gira attorno al centro della questione.
Non abbiamo letto in nessun quotidiano, né sentito in radio e televisione, giornalisti e conduttori porre la seguente domanda al medico Tutino: “Ma lei quella telefonata l’ha fatta o non l’ha fatta?” e, seconda domanda, “Ma lei quella frase, in quella telefonata, l’ha detta o non l’ha detta?”. Resta salva sempre la facoltà del medico di non rispondere.
Poi, i media dovrebbero porre pubblicamente anche a Rosario Crocetta due domande canoniche: “Ma lei quella telefonata l’ha ricevuta o non l’ha ricevuta?” e, seconda domanda, “Se l’ha ricevuta ha udito la frase incriminata oppure no?”.  
 
La questione è più semplice di come è stata montata dal circo mediatico. Ma siccome nessuno ha posto le domande elencate, Tutino e Crocetta si sono ben guardati dal rispondere e chiarire.
Se dal punto di vista giudiziario la controversia civile e penale verte sulle intercettazioni, dal punto di vista dell’accertamento della verità vera, le domande poste esigono una risposta.
Qualcuno potrebbe osservare che le domande ai due protagonisti della vicenda si poggiano su un fatto: che la telefonata sia stata fatta effettivamente, o meno. Ma questo fatto è facilmente accertabile, indipendentemente dall’intercettazione. Basta controllare i tabulati dei telefoni di Tutino e Crocetta per appurare che a quell’ora, la telefonata ci sia stata. Appurato questo, i contenuti della stessa devono essere enunciati dai due interlocutori. Ecco perché, pubblicamente, rivolgiamo loro le quattro domande chiedendo risposte precise ed inequivocabili: sì, sì o no, no.
La Procura di Palermo ha doverosamente aperto il fascicolo sull’intercettazione. Ma inevitabilmente dovrà appurare i fatti sottostanti ad essa.
 
Fino ad oggi quattro procure siciliane (Palermo, Messina, Catania e Caltanissetta) hanno comunicato che nei loro fascicoli aperti non risulta l’intercettazione incriminata. Ma nessuna di esse ha potuto, ovviamente, comunicare se essa si trovi in qualche procedimento secretato.
Siamo convinti che la Procura di Palermo sarà in condizione di arrivare alla verità, per indicare all’opinione pubblica chi abbia detto la verità e chi abbia mentito.
Non è cosa da poco stabilire la barriera tra verità e menzogna, perché da esse ne discende la credibilità dei protagonisti e, per conseguenza, quello che c’è sotto.
Tutto questo a prescindere dall’altra vicenda giudiziaria che ha colpito il medico Tutino, per la quale è in corso il procedimento giudiziario che ha anch’esso il compito di approdare alla verità dei fatti, cioè se nei comportamenti vi siano stati reati o delitti di varia natura.
Le trame che sono dietro queste vicende hanno fatto dimenticare una circostanza inoppugnabile: la Sicilia è sull’orlo del baratro.

Non sappiamo se l’ossigeno finanziario del governo centrale, sotto forma dei 500 milioni che dovranno essere trasferiti alla Regione, potrà essere null’altro che un pannicello caldo. Infatti, il dramma si avvicina nel momento in cui questa giunta, se sopravviverà, dovrà elaborare bilancio e legge di stabilità 2016, che dovranno essere approvati tassativamente entro il 31 dicembre 2015.
Infatti, non sarà possibile per l’Assemblea regionale approvare l’esercizio provvisorio oltre tale data, in presenza dell’impugnativa del governo alla Corte Costituzionale per i bilanci 2016 e 2017.
Non vorremmo essere nei panni dell’assessore all’Economia, in pratica commissario dello Stato, Alessandro Baccei, perché fare quadrare i conti sarà impresa titanica. Ma anche se vi riuscisse, non potrebbe mettere un euro a spesa per investimenti e con ciò sarebbe sancita la definitiva catastrofe per la Sicilia che, senza la ripresa economica, concorrerà per diventare l’ultima delle 272 regioni europee. E questo non possiamo tollerarlo.

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