Violenza a Sirte, la Libia nella morsa jihadista - QdS

Violenza a Sirte, la Libia nella morsa jihadista

redazione

Violenza a Sirte, la Libia nella morsa jihadista

martedì 18 Agosto 2015

Il ministro Gentiloni: “Il rischio è che il Paese si trasformi in un’altra Somalia”

TRIPOLI – La Libia rischia di diventare un’altra Somalia, se entro poche settimane non si arriverà a un accordo di unità nazionale tra le parti che oggi si contendono il controllo del Paese. Questo il monito lanciato dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, dopo giorni di sanguinosi combattimenti a Sirte tra i jihadisti dello Stato islamico (Isis) e un gruppo salafita locale sostenuto dagli abitanti, che hanno spinto il governo di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale, a chiedere un intervento dei Paesi arabi e a rilanciare la richiesta all’Onu per una revoca dell’embargo sulle armi.
Secondo fonti locali sarebbero decine i morti e i feriti dei combattimenti a Sirte, situata nel centro del Paese, 500 chilometri a Est di Tripoli, terminati con la vittoria dell’Isis contro i miliziani che volevano cacciare i jihadisti dalla città.
Una sollevazione simile a quella già avvenuta lo scorso giugno nella città di Derna, più a Est nel Paese, da cui i jihadisti sono stati cacciati da milizie rivali sostenute dalla popolazione. E proprio la scorsa settimana l’Isis ha lanciato un’offensiva per riconquistarla.
Se oggi la Lega araba discuterà la richiesta di Tobruk di “prendere misure per fronteggiare” l’Isis, mercoledì riprenderanno in Marocco i negoziati mediati dall’Onu per arrivare a un’intesa entro la fine di agosto, come chiesto dall’inviato Onu per la Libia, Bernardino Leon, durante la sessione di colloqui svoltasi la scorsa settimana a Ginevra. Una scadenza ribadita ieri anche da Gentiloni, secondo cui “bisogna sapere che corriamo contro il tempo” affinché anche il parlamento di Tripoli aderisca all’intesa già firmata il 12 luglio scorso da Tobruk dai delegati di Misurata e Zintan e da gran parte delle municipalità di Tripoli. “Il tempo è cruciale e non è illimitato – ha rimarcato Gentiloni – o si chiude in poche settimane o ci troveremo con un’altra Somalia a due passi dalla costa e dovremo reagire in modo diverso”.
A quel punto, ha precisato il ministro, bisognerebbe porre “nell’agenda della coalizione internazionale anti-Isis il tema Libia, sapendo che non si tratterebbe più di stabilizzare il Paese, ma di contenere il terrorismo”.
Di fatto, anche qualora il parlamento di Tripoli dovesse accettare di firmare l’intesa, ci sarebbe il problema di garantire le condizioni di sicurezza per la sua applicazione, come evidenziato anche dall’Onu nel comunicato diffuso al termine dei colloqui di Ginevra, il 12 agosto scorso. “I leader dei diversi partiti politici presenti ai colloqui hanno fatto sapere che interverranno con i principali attori per la sicurezza per avviare consultazioni con la missione di assistenza Onu alla Libia (Unsmil) e fornire i propri suggerimenti sulle modalità per rendere operativi gli accordi contenuti dell’Accordo politico libico”.
Le violenze a Sirte sono state duramente condannate in un comunicato congiunto dei governi di Francia, Germania, Italia, Spagna, Gran Bretagna e Stati Uniti, che hanno lanciato un “appello a tutte le fazioni libiche che desiderano un Paese unificato e in pace affinché uniscano le proprie forze per combattere la minaccia posta da gruppi terroristici transnazionali che sfruttano la Libia per i loro scopi”.
Nella nota è stato quindi sollecitato al più presto “un accordo per un governo di unità nazionale che, con il sostegno della comunità internazionale, possa garantire sicurezza contro i gruppi di estremisti violenti che puntano a destabilizzare il Paese”, ribadendo che “non esiste una soluzione militare al conflitto politico in Libia”.
Le violenze dell’Isis hanno spinto anche il gran muftì della Libia, lo sceicco Sadek Al-Ghariani, destituito dal parlamento di Tobruk, a lanciare un appello a tutte le forze libiche, senza distinzioni tra islamici e laici, tra Tobruk e Tripoli, perchè venga estirpato il “cancro” jihadista. Una presa di posizione senza precedenti, a fronte delle dure accuse mosse dal gran muftì durante tutto lo scorso anno contro il capo di Stato maggiore delle forze di Tobruk, Khalifa Haftar.

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