“Credo che, attualmente, manchi la cultura d’impresa e non solo. Oggi a chiunque ci si rivolga, si sente dire di fare piccola impresa perché vengono stanziati i contributi, ma non si capisce che non tutti possono essere imprenditori. Quello che manca è anche lo spirito del sacrificio che dà occasione di lavoro. Andare a lavorare sembra essere diventato un optional! Questo è il tipo di cultura che hanno dato ai giovani, da dieci anni a questa parte. Io sono sempre stato un oppositore delle nuove forme di lavoro; non dico della Legge Biagi che, onestamente, era una somma di corollari e di dettati, ma già quando con le Legge Treu, la L 196 del ’97, si cominciò a parlare di liberalizzazione del mercato, quando a seguito della sentenza della Corte Europea del Lussemburgo il collocamento non veniva più dato alle istituzioni, si pensava che ci sarebbe stata, comunque, una degenerazione nell’applicazione. Questo perché non si può passare da un regime istituzionale ad una situazione di liberalizzazione del mercato del lavoro. Con tutte quelle creazioni, poi, di contratti atipici, tipo contratto week end, si è interpretato male”.
“Il lavoro interinale applicato nel Meridione, ad esempio, doveva comunque indurre una forte recessione perché c’era una legge di carattere penale che poneva il divieto d’intermediazione e d’interposizione dell’attività lavorativa. La Legge Biagi può andare così come possono andare tutte queste forme di contratti atipici, ma sicuramente non nel Meridione”.
“Sì. Il Meridione, ha sempre avuto un’economia assistita; qui non c’è mai stata un’economia di traino. La prima “battuta” il Meridione l’ha avuta con l’avvento dell’euro, perché si è liberalizzato il mercato. Il Nord ha un’economia forte, mentre il Sud vive di stipendi, di retribuzioni e di lavoro dipendente e quindi non c’è stata una giusta equazione. è, infatti, è aumentata la povertà!”.
“Si affronta il problema con molta superficialità, tamponandolo temporaneamente ma non risolvendolo. Il problema è cercare soluzioni ed accorgimenti. Ed è la politica, l’arte della scelta, che li deve cercare. Non deve cercare solo le risorse per accontentare provvisoriamente. Oggi, quello che si sente maggiormente è il ricorso al credito, senza di questo, l’imprenditore ha le mani legate. Oltre al ricorso al credito, per creare occupazione, bisogna creare sviluppo e per lo sviluppo occorre l’investimento. La situazione, tra l’altro, in cui versa la Regione Siciliana è molto variegata. Ad esempio, la situazione di Catania è certamente diversa da quella di Messina: ci sono esigenze diverse! Messina, purtroppo, non attira l’attenzione degli investitori. Non possiede inoltre, ad esempio, grandi industrie così come avviene nella città di Catania. Messina ha solo una grande potenzialità che resta però, suo malgrado, inespressa e non produttiva”.