Bisogna fare non cincischiare - QdS

Bisogna fare non cincischiare

Carlo Alberto Tregua

Bisogna fare non cincischiare

giovedì 17 Settembre 2015
La gente ha l’abitudine di parlare, di fare dibattiti, spesso comizi. Ma non ha la capacità della sintesi e la ricerca dell’efficacia delle azioni.
A Napoli dicono che uno tiene la bocca per fare uscire il fiato. Purtroppo questa è la norma, perché ognuno utilizza poco il proprio cervello, che già è poco utilizzato di suo.
Perché accade questo processo inutile? Perché la gente non ha sufficiente cultura e conoscenza per capire bene i problemi, trovarvi le soluzioni, prendere decisioni conseguenti ed adottarle subito.
Molti girano a vuoto, ripetono cose già dette, cercano il bandolo della matassa senza trovarlo, perdono tempo e, intanto, il mondo va, infischiandosene altamente degli incapaci. I quali, quasi sempre, non riconoscono la loro incapacità, ma danno agli altri la colpa dei loro insuccessi.
Persone concrete ce ne sono poche, gente che bada al sodo per la quale due più due, magari tardi, fa sempre quattro. Gente che cerca di prevedere, prevenire e provvedere, che non si fa guidare dagli eventi, ma che cerca di guidarli.

Il verbo che ognuno di noi dovrebbe usare nella vita è fare. Quando qualcuno prospetta ipotesi e possibili soluzioni a un problema, la risposta dovrebbe essere secca: Do it (fallo).
Fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, dice un vecchio motto. Purtroppo la stragrande maggioranza delle persone è parolaia, tanto secondo loro le parole non fanno male. E invece sbagliano, perché anche quelle più inconcludenti, proprio perché tali, pesano per la loro inconcludenza. Non parliamo delle altre che, invece, fanno fori nell’insipienza e nella stupidità. Infatti, Manzoni, assimilava le parole alle pietre.
Bisogna fare e non cincischiare, essere concreti, fissare obiettivi e mettere ogni mezzo per raggiungerli, senza esitazioni e con molta determinazione.
In una Comunità, purtroppo l’esempio dei parolai viene dato da chi esercita immeritatamente la politica. Ma non sono i soli che promettono e promettono, ma poi non mantengono mai.
Nonostante ciò, il popolo bue gli rinnova la fiducia, votandoli, con ciò facendo venire meno un pilastro della democrazia che correla il consenso al mantenimento degli impegni.
 

All’inconsistenza dei comportamenti si aggiunge spesso la malafede di coloro che usano le parole per turlupinare il prossimo e volgere gli eventi a proprio favore, in modo da trarre indebiti vantaggi da circostanze spesso poco chiare.
Si tratta di un circuito vizioso che  può attivarsi perché manca serietà nei comportamenti, anzi vi è una continua inosservanza dei valori etici che dovrebbero essere la guida di ognuno di noi.
Fare, fare e fare, bene, bene e bene. Perché molti fanno male, in buona o in cattiva fede? Perché non provvedono a realizzare quanto necessario, non tengono conto opportunamente delle difficoltà, non puntano diritti all’obiettivo che si sono prefissati.
Nell’economia il non fare o il far male è sempre sanzionato da quel meccanismo preciso che funziona indipendentemente dalla volontà delle persone. Chi sa fare ottiene risultati, chi non sa fare viene bocciato ed esce dalla porta di servizio. Mentre, nel settore pubblico, mancando i valori di responsabilità e merito, diventano ininfluenti il fare e il saper fare.

Fare è una mentalità, uno stato d’essere. Si è concreti e operativi oppure fannulloni. Dipende da come si imposta la propria vita, dalla voglia (se c’è) di migliorarsi continuamente, dallo spirito di sacrificio che consiste nel rinunziare ad attività che si vorrebbero fare per percorrerne altre che, invece, si debbono fare.
Ecco un altro valore che va tenuto presente: il dovere. Ognuno ha l’onere di compiere il proprio dovere e solo dopo essere arrivato a raggiungerlo può chiedere compensi o contropartite.
In una Comunità, ove vige il valore dell’equità, nessuno dovrebbe pensare di fare il furbo, ricevendo di più di quanto dà, sia in termini materiali che in termini morali. Dare e fare dovrebbero essere i due verbi costanti nella nostra vita, emarginando il loro contrario.
Se ognuno facesse e desse agli altri, realizzerebbe un circuito virtuoso al termine del quale chi ha cominciato questo percorso alla fine riceve, senza avere nulla chiesto.

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