In Sicilia 1.455 beni confiscati alla mafia in un solo anno - QdS

In Sicilia 1.455 beni confiscati alla mafia in un solo anno

Serena Giovanna Grasso

In Sicilia 1.455 beni confiscati alla mafia in un solo anno

venerdì 02 Ottobre 2015

Entro l’anno è attesa la riforma per velocizzare l’iter che porta alle destinazioni e potenziare l’Agenzia nazionale. Dall’1/8/2014 al 31/7/2015 3.801 beni confiscati alla criminalità organizzata in Italia

PALERMO – Tremilaottocentouno, a tanto ammonta il numero di beni confiscati alla criminalità organizzata dal primo agosto 2014 al 31 luglio 2015, corrispondente ad un valore economico di 678 milioni di euro. Ancor più consistente è il numero di beni sequestrati nel medesimo arco temporale, ammontante complessivamente a livello nazionale a 14.530, stavolta per un valore economico di 5,6 miliardi di euro.
Questi solo alcuni dei dati diffusi dal Viminale nelle scorse settimane. In tal contesto, la Sicilia occupa costantemente le prime posizioni per maggior numero di beni sia confiscati che sequestrati, al contempo accompagnato dal maggior corrispondente valore economico. È possibile rilevare massicce presenze anche in Calabria, Campania, Puglia, Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna.
Con particolar riferimento ai beni confiscati, ben il 90,8% degli immobili (ovvero, 3.453 sul totale di 3.801) è allocato in Sicilia, Campania, Calabria, Emilia Romagna, Puglia e Lazio. Per l’appunto, l’Isola si pone da capofila con ben 1.455 beni confiscati dal valore di 217 milioni di euro, ovvero quasi un terzo del valore economico complessivo (678 milioni di euro). Mentre con riferimento ai beni sequestrati, l’Isola è la seconda regione per numerosità (3.833 beni), ma prima per maggior valore economico (3,2 miliardi di euro, ossia oltre il 50% del valore complessivo). Il numero maggiormente consistente è rilevabile in Campania, con 3.951 beni sequestrati, ma dal valore economico assai più contenuto (920 milioni di euro).
Si tratta dunque di valori estremamente elevati, che in tempi critici come quelli odierni, se correttamente valorizzati, consentirebbero la rinascita dell’Isola. Purtroppo, tale valorizzazione è perlopiù assente. Per questo il Parlamento da due anni lavora alla riforma dell’intero sistema che riguarda sequestri, confische e la loro gestione. Ed entro l’anno, al massimo a gennaio 2016, ha annunciato nei giorni scorsi la presidente della Commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti (Pd), il nuovo testo verrà approvato.
 
Il provvedimento ha innanzitutto due priorità: rendere più veloce, più tutelante e più efficace il procedimento che conduce dal sequestro alla confisca definitiva e potenziare l’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati in modo tale che questa possa procedere con maggior efficienza alle destinazioni dei beni definitivamente confiscati. Nelle intenzioni del Parlamento, l’Agenzia nazionale per i beni confiscati avrà trecento dipendenti ben formati contro i 100 lavoratori attuali, la sede principale a Roma e non più a Reggio Calabria, che diventerà la sede secondaria con una banca dati aggiornata; mantenimento almeno delle 5 sedi attuali; la guida verrà conferita alla presidenza del Consiglio dei ministri (oggi l’Agenzia è sotto il ministero dell’Interno) e la direzione affidata non necessariamente a un prefetto ma magari a un manager.
In parole povere, la riforma si propone l’obiettivo di valorizzare i beni sequestrati ed evitare spiacevoli situazioni come quelle denunciate dall’ex direttore dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati, Giuseppe Caruso, che con il suo atto d’accusa, nel gennaio 2014 era finito davanti alla Commissione antimafia suscitando repliche e irritazioni. “Alcuni – aveva detto Caruso – hanno ritenuto di poter disporre dei beni confiscati come ‘privati’ su cui costruire i loro vitalizi. Non è normale che i tre quarti del patrimoni confiscati alla criminalità organizzata siano nelle mani di poche persone che li gestiscono spesso con discutibile efficienza e senza rispettare le disposizioni di legge”.
Dunque, speriamo di giungere presto ad importanti soluzioni che consentano alla Sicilia di risollevarsi, trasformando in legale tutto quanto fino a poco tempo fa era stato nelle mani della criminalità organizzata.
 

 
Richiesta di trasferimento per i 5 magistrati coinvolti nello scandalo di Palermo
 
PALERMO – Quasi in contemporanea alla diffusione degli ultimi dati sui beni sequestrati e confiscati, a Palermo è scoppiato un nuovo scandalo: l’inchiesta di Caltanissetta sulla gestione della sezione misure di prevenzione guidata, dal 2010, da Silvana Saguto. Il magistrato sarebbe, secondo le accuse, al centro di una combine affaristica che avrebbe inquinato le nomine degli amministratori giudiziari dei beni sequestrati e confiscati alla mafia: un malaffare fatto sistema che avrebbe portato denaro nelle tasche di pochi noti, appartenenti al cerchio magico della Saguto. In cambio il magistrato avrebbe beneficiato di favori come gli incarichi ottenuti dal marito, consulente in molti procedimenti di prevenzione. Nell’indagine sono coinvolti oltre alla Saguto, indagata per corruzione, induzione alla concussione e abuso d’ufficio, il magistrato Lorenzo Chiaramonte, l’ex componente del Csm Tommaso Virga, ora presidente di sezione, due amministratori giudiziari, il pm Dario Scaletta e tre familiari della giudice. “Già da giorni ho provveduto a far scattare l’invio degli ispettori, che da oggi sono a Palermo e sono al lavoro: attendiamo le risultanze di quest’attività che entra nel vivo oggi”. Lo ha detto ieri il ministro della Giustizia Andrea Orlando, sugli ispettori inviati a Palermo per verifiche sul caso che coinvolge Silvana Saguto e altri 4 magistrati, indagati dalla procura di Caltanissetta per la gestione dei beni confiscati. Su di loro il Csm ha avviato la procedura per il trasferimento d’ufficio. “A luglio – ha spiegato Orlando – il governo ha disposto lo schema di un provvedimento per disciplinare i compensi agli amministratori dei beni confiscati che è passato all’ultimo Cdm”. “Se fosse stato già in vigore questo decreto che obbliga alla rotazione degli incarichi – ha fatto notare il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti  – non avremmo avuto quel cumulo di cariche che si è prodotto a Palermo”.

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