Lavoro a due velocità: dal 2008 persi 576 mila posti solo al Sud - QdS

Lavoro a due velocità: dal 2008 persi 576 mila posti solo al Sud

Margherita Montalto

Lavoro a due velocità: dal 2008 persi 576 mila posti solo al Sud

martedì 20 Ottobre 2015

Rapporto Giovani: indagine dell’Istituto Toniolo sulla disoccupazione in Italia. Le differenze geografiche. Al Nord “solo” 235 mila le persone che non hanno più una occupazione

CATANIA – Se come detta la Costituzione “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” e “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”, la realtà è ben altra cosa.
L’occupazione giovanile o meglio la disoccupazione giovanile è avvertita da tutti quei giovani che, dopo aver completato il ciclo di studi, si ritrovano a dover affannosamente cercare un lavoro che per lo meno sia proporzionato al percorso di studi intrapreso.
Il disagio dell’occupazione/disoccupazione è stato comunicato da un aggiornamento sullo stato dell’occupazione nel nostro Paese dal Rapporto Giovani (progetto dell’Istituto Giuseppe Tonioli, Ente fondatore dell’Università Cattolica) secondo cui la crisi economica ha aggravato la condizione dei giovani italiani peggiorando le opportunità di trovare un’occupazione, di stabilizzare il percorso lavorativo, di realizzare le condizioni per conquistare una propria autonomia dalla famiglia di origine e di formare un proprio nucleo familiare.
La disoccupazione giovanile ha raggiunto negli ultimi mesi livelli record. La disoccupazione giovanile è dunque record. Il rapporto lavoro/giovani ovvero dei giovani senza lavoro in l’Italia fa emergere che essa è tra i Paesi europei con più basso tasso di occupazione giovanile e più elevata quota di Neet, ovvero under 30 che non studiano e non lavorano.
Una realtà drammatica tocca invece il Sud che si trova in una situazione a rischio di desertificazione industriale con un mercato del lavoro locale tornato ai livelli di quarant’anni fa. Questa è un’altra analisi realizzata dal Rapporto SVIMEZ sull’economia del Mezzogiorno 2015. L’Associazione per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorno ha fotografato l’attuale situazione delle regioni meridionali italiane, sempre più arretrate rispetto al Nord del Paese. Nel 2014, per il settimo anno consecutivo, il Pil del Mezzogiorno è rimasto negativo (-1,3%). Il Sud paga il prezzo più alto della crisi economica scoppiata nel 2008. Nei sei anni successivi il calo dell’occupazione è stato del 9%, contro il -1,4% del Centro Nord: delle 811mila persone che in questo periodo hanno perso il lavoro, 576mila sono residenti nel Mezzogiorno. Una riduzione del mercato del lavoro che riduce la possibilità di un giovane di realizzarsi.
Negli anni fra il 2008 e il 2014, il Mezzogiorno ha perso 622mila posti di lavoro tra gli under 34, con un calo percentuale del 31,9%. I giovani disoccupati con meno di 24 anni al Sud ammontano al 56%, contro il 35,5% del Centro Nord.
Su 3 milioni e 512mila Neet (Not in Education, Employment or Training) che si trovano nel nostro Paese, quasi due milioni sono meridionali. Sui numeri pubblicati da Rapporto Giovani appare che le generazioni in fuga, disposti a trasferirsi siano soprattutto quelli del Sud circa l’84,4%.
La maggior parte non ha problemi a emigrare all’estero, soprattutto se si possiede un titolo di studio superiore. Tale decisione personale comporta un danno al territorio cui è sottratta la possibilità di tenersi “care” le professionalità. Un giovane meridionale su tre non è soddisfatto del lavoro che svolge, mentre al Nord la percentuale scende a uno su quattro.
 


L’80% dei giovani disposto a fare lavori manuali
 
L’aspetto che attiene alla soddisfazione nel lavoro interessa molto i giovani. Il titolo di studio è considerato  sempre un elemento di rilievo perché non viene meno l’attribuire ad esso un ruolo fondamentale; segue la valutazione della proporzione fra rapporto economico e tipo di lavoro che dovrebbe garantire almeno 1.500 euro al mese. I giovani, oltre l’80%, sono disposti a svolgere un lavoro di tipo manuale. Nella scala dei lavori all’ultimo posto delle preferenze figurano quelli in cui più comunemente le nuove generazioni trovano facili occasioni d’impiego, ma di bassa qualità. Pochissimi consiglierebbero di fare il telefonista di call center (3,5%), l’operatore di fast food (4,2%), o il distributore di volantini (1,6%). Al limite, a parità di stipendio, meglio l’operatore ecologico che lavori di questo tipo (4,6% contro 4,2% donne). Piuttosto che occupazioni manuali di basso livello nel settore dei servizi, spesso legati a condizioni di precarietà e sfruttamento, ci sono il lavoro operaio (6,9%) o quello agricolo (7,7%). Tra i lavori di profilo medio-basso la preferenza per i maschi va comunque all’impiego in fabbrica come tecnico specializzato (27,1%), mentre per le donne prevale l’attività di commessa/cassiera (31,6%).

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