Giampilieri e Scaletta, ipotesi “new town”, ma gli sfollati reclamano le proprie case - QdS

Giampilieri e Scaletta, ipotesi “new town”, ma gli sfollati reclamano le proprie case

Francesco Torre

Giampilieri e Scaletta, ipotesi “new town”, ma gli sfollati reclamano le proprie case

martedì 10 Novembre 2009

Messina. Dopo la tragedia gli scenari possibili.
Gli abitanti. “Noi non vogliamo un nuovo paese. Lì abbiamo case, terreni, beni tramandati da tante generazioni, conquistati con tanti sacrifici. Come ci possono chiedere di abbandonare tutto?”
La Protezione civile. Il dirigente Cocina: “A Giampilieri sarebbe forse meglio demolire le prime file di case, quelle a ridosso della montagna, e riqualificare il borgo”.

MESSINA – Al Capo Peloro Resort di Torre Faro sono presenti 170 sfollati. Molti di loro quotidianamente continuano a recarsi “al paese”, a controllare le case e i lavori degli escavatori e dei bobcat. Altri, e tra di loro i più anziani e i bambini, si siedono nella hall dell’albergo. E si raccontano, come fosse la trama di Agrodolce, dei 60 milioni di euro stanziati per la prima emergenza, del contributo affitto di 100 euro a persona, dell’incarico di Commissario delegato dato al Presidente della Regione Raffaele Lombardo, del ritrovamento delle ultime vittime di Giampilieri, Francesco e Lorenzo Lonia, anni 6 e 2. Parlano di familiari, amici, conoscenti, si scambiano informazioni. Ricordano il passato, discutono del presente e immaginano il futuro. Provando a mettere dei punti fermi nei tanti spazi vuoti che ora accompagnano le loro esistenze.
“Berlusconi tre giorni dopo l’alluvione è venuto qui a dirci che bisognava cercare un luogo idoneo per costruire il nuovo paese di Giampilieri”, racconta il sig. Giuseppe Oliva, portavoce involontario di questo gruppo di sfollati, “ma noi non vogliamo un nuovo paese. Lì abbiamo case, terreni, beni tramandati da tante generazioni, conquistati con tanti sacrifici. Come ci possono chiedere adesso di abbandonare tutto? Né tantomeno pensino di poterci frazionare con i buoni affitto”.
“Noi tutti vogliamo tornare alle nostre vecchie case ma solo quando saranno messe davvero in sicurezza”, aggiunge il sig. Stefano D’Urso, la cui casa non ha avuto danni, ma che ha visto la valanga scendere giù dalla montagna già il 25 ottobre 2007, e di ripartire per il paese in questo momento non ci pensa proprio.
Le New Town, o anche Città Giardino, sono sorte in Inghilterra a partire dal 1947 per controllare la preoccupante espansione della capitale. Autosufficienti, ecosostenibili, a misura d’uomo. Attualmente ci vivono oltre un milione di persone, e il modello è stato esportato in tutto il mondo. Anche in Italia? Non certo con successo, ma si è tentato, e pure in Sicilia. A Librino, per esempio, a sud-ovest di Catania, non troppo distante dall’aeroporto. Il risultato? Un’autostrada con le case attorno, un quartiere simbolo di degrado e criminalità che solo negli ultimi anni sta riuscendo a ricostruire una propria identità. è questo il futuro che si vuole prospettare agli oltre mille alluvionati di Messina e Scaletta?
“Che l’indirizzo politico oggi sia questo mi sembra chiaro”, ci dice Salvatore Cocina, dirigente generale della Protezione Civile Regionale, “ma onestamente non si può condividere, da un punto di vista sociale, lo spostamento di così tante persone da un quartiere ad un altro di nuova costruzione, tra l’altro in aree difficilmente individuabili… A Giampilieri sarebbe forse meglio demolire le prime file di case, quelle a ridosso della montagna, e riqualificare il borgo”. Un’ipotesi condivisa da molti, a cominciare da Gaetano Sciacca, Ingegnere Capo del Genio Civile, colui cioè che negli ultimi due anni più di chiunque altro in città aveva avvisato, invano, gli enti locali sulla possibilità di una catastrofe: “La costruzione di un quartiere ex-novo è un’emerita scemenza. L’unica cosa da fare a Giampilieri è rinaturalizzare l’area montana, demolire le case che non tengono e ricostruire un tessuto urbano profondamente e ripetutamente violentato”.
Violentato. A Giampilieri Superiore si continua a scavare, ma solo a destra del torrente, perché a sinistra, nella parte costruita più recentemente, dove c’è la scuola e tanti palazzoni, la valanga non è arrivata, e la popolazione non è stata evacuata. Così, su 1496 abitanti (tanti erano indicati nell’ultimo censimento) gli sfollati di Giampilieri sono in questo momento 688. Cosa significa? Che quando si chiede di non frazionare la comunità del paese si pretende la luna, perché tale comunità è già stata naturalmente frazionata, divisa a metà, corrotta in maniera forse indelebile dal punto di vista sociale. Ci sono e ci saranno giampilieroti che vivono nelle loro case e ci vivranno, si spera senza problemi, quanto vorranno, e altri che si arrangeranno per un tempo ancora indefinito in attesa di capire quale sarà il loro destino. In mezzo, come il torrente funge da spartiacque tra le due porzioni di territorio, così i dati tecnici, i risultati delle indagini geognostiche, gli accertamenti sullo stato attuale del dissesto idrogeologico, ancora lontani dall’offrire un quadro definitivo della crisi, si ergono come una spada di damocle sul destino degli sfollati.
“Ancora non abbiamo quantificato i danni, e finché questo non viene fatto non potremo approntare delle strategie: un conto, infatti, è dover mettere a disposizione una ventina di alloggi, un altro prevederne più di duecento”, spiega l’ass. Comunale alla Protezione Civile Fortunato Romano. “Certo, se ci saranno aree che non si potranno mettere in sicurezza o per cui costerebbe troppo farlo, saremo costretti a valutare unadelocalizzazione.

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