La forza della ragione e quella della persuasione - QdS

La forza della ragione e quella della persuasione

Carlo Alberto Tregua

La forza della ragione e quella della persuasione

venerdì 20 Novembre 2015
Aristotele (384 a.C. o 383 a.C. – 322 a.C.) in Retorica, ci ricorda un concetto opposto a quello che sembra prevalere nei nostri giorni. E cioè che prima viene la forza della ragione e poi quella della comunicazione. Ai nostri giorni il concetto si è invertito, tanto che nei quotidiani e nei talk show televisivi, nonché negli spazi radiofonici, ognuno cerca di far prevalere le proprie argomentazioni.
Questo non è bene, perché la verità può emergere dal confronto di fatti, non da quello delle opinioni. Con le opinioni si può barare o sbagliare. Persino con i fatti si può sbagliare, perché essi possono essere interpetrati da diverse angolazioni. Tuttavia, i fatti restano fatti.
Non è un caso che nei talk show televisivi gli ospiti non siano invitati spontaneamente dai produttori dei programmi, bensì pescando in ambienti e in settori a seconda degli interessi di parte. Mai una persona indipendente potrà partecipare a questi talk show, salvo rari casi.

La persuasione è un modo elegante per convincere gli altri della bontà delle proprie tesi. Essa poggia su buoni fatti ed è espressa con una forma che consenta all’interlocutore di ragionare per proprio conto, in modo da giungere autonomamente a proprie conclusioni.
Vi sono argomentazioni persuasive ma non tecniche, che invece sono proprie dei discorsi giudiziari. Ma non sempre le argomentazioni devono fare riferimento a leggi scritte, piuttosto a leggi universali che si riferiscono alla Natura, le quali non cambiano mai, mentre quelle scritte dagli uomini cambiano continuamente in un bailamme gravido di conseguenze, secondo il quale chi le applica può giungere a conclusioni opposte.
Per comportarsi da persona per bene, occorrono saggezza, virtù e benevolenza, qualità non comuni e non sempre presenti contemporaneamente. La saggezza consente di valutare in modo pacato gli eventi ed esprimerli con serenità; la virtù vuol dire non odiare il prossimo, che va compreso con benevolenza. Essere miti non significa essere stupidi, ma avere il coraggio delle proprie idee e delle proprie ragioni, per farle rispettare con determinazione dal prossimo.
 

Certo, il rispetto verso il prossimo è il preliminare e segue il rispetto verso sé stesso. L’opposto è invece la sfrontatezza e la prepotenza che certificano disprezzo e mancanza di rispetto.
In questo mondo dove vi è una grande competizione, bisogna stare attenti alla profonda differenza che vi è fra emulazione ed invidia. L’emulazione è un sentimento appropriato e da persone a modo; l’invidia è cosa misera, da persone meschine.
Chi emula vuole competere per avvicinarsi a chi vede avanti a sé, senza trucchi né inganni. Chi è più forte deve stare davanti e chi è più debole deve stare indietro, secondo la legge della Natura. L’importante è che entrambi abbiano avuto pari opportunità di partenza.
In questo consiste l’eguaglianza, non che tutti debbano ricevere tutto allo stesso modo e nella stessa misura. Ognuno deve ricevere per quello che è capace di dare, e non di più. Si tratta di un’eterna regola etica che deve essere tenuta presente costantemente fra noi e nella nostra vita.

Quando si parla non bisogna dare fiato alla bocca, ma avere attenzione a quello che si dice e a come si dice. Infatti il volume, l’armonia e il ritmo del parlare ne fanno cambiare l’effetto. E poi, dire in un modo oppure in un altro fa la differenza, una differenza che, alle volte, diventa importante.
L’elocuzione non è l’eloquenza. La prima è l’arte di esporre le proprie idee e di rappresentare con chiarezza ed efficacia i sentimenti dell’anima. L’eloquenza è, invece, l’arte di parlare o scrivere con efficacia, in modo da persuadere e muovere gli affetti.
Non sembri di poco conto la differenza fra i due modi di esprimersi, anche se entrambi sono forme superate (forse) ai nostri giorni. Poche persone, infatti, fanno eloquenza e quasi nessuno elocuzione.
I concetti che precedono sono semplici, basta volerli comprendere. Ma per comprenderli bisogna impegnarsi, leggendo, leggendo e leggendo e cercando di capire, capire e capire.

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