Partono le intelligenze arriva la manovalanza - QdS

Partono le intelligenze arriva la manovalanza

Carlo Alberto Tregua

Partono le intelligenze arriva la manovalanza

venerdì 27 Novembre 2015

Senza opportunità, la fuga

Se ci fate caso, è stato messo il silenziatore a tutte le operazioni di salvataggio vicino le coste libiche di quei poveracci che sono imbarcati su scialuppe disastrate e pericolosissime.
Mentre fino a qualche mese fa, c’era un’ossessionante informazione in tutti i telegiornali pubblici e privati, sulle migliaia di migranti portati nelle coste siciliane, calabresi e pugliesi, da qualche tempo il fenomeno sembra scomparso.
Si tratta della verità o di un ordine di scuderia governativo per non attirare più l’attenzione dell’opinione pubblica su questo fenomeno? Non sappiamo. Sappiamo, però, che esso continua, ma non se ne dà conto all’opinione pubblica.
E intanto, lo Stato continua a pagare le strutture che ospitano i migranti arrivati e in arrivo, alla media di 30-35 euro al giorno cadauno, per un ammontare comunicato da Matteo Renzi, per il 2015, di 3,3 miliardi. Una cifra enorme, ove si consideri che l’Italia ha sei milioni di cittadini che vivono al di sotto della soglia europea di povertà, con il 12% di disoccupati, oltre gli inoccupati.
 
Cosicché il fenomeno dell’immigrazione è incontenibile, mentre l’Europa è sorda alla redistribuzione di 160 mila migranti, di cui ne sono stati accolti negli altri Stati membri appena 60, diconsi 60.
Da un canto, importiamo migranti che costituiscono manovalanza (pochissimi fra loro hanno studiato e ancor meno sono laureati), dall’altro si è aperta la corsa dei nostri giovani competenti verso l’estero, verso tutto il mondo, dall’America all’Asia, al Nord Europa.
Lo Stato spende mediamente 60-80 mila euro per ogni giovane che porta dopo le soglie della laurea, dopo di che non gli offre le opportunità di lavoro, con la conseguenza che essi sentono il bisogno di andare dove il lavoro c’è, cioè all’estero.
Si tratta di un comportamento idiota e masochista, che depaupera le risorse pubbliche, in quanto non mette a profitto l’investimento fatto sui giovani che, lavorando nel nostro Paese, renderebbero per quanto sono costati.
Fino a quando i governi che si sono succeduti, compreso quello odierno, continuano a foraggiare la spesa pubblica, composta da sprechi e privilegi, non potrà avere le risorse necessarie agli investimenti per il futuro dei nostri giovani, preparati.
 
Partono le intelligenze, arriva la manovalanza. Questo processo fa impoverire il Paese e non mette le condizioni perché esso progredisca, cioè costruisca il futuro. Tutta l’economia è impantanata e frenata da una burocrazia fatta di privilegiati e di incompetenti, fra i quali, per fortuna vi sono anche bravi, onesti e capaci dirigenti e dipendenti pubblici, che non vengono, però, valorizzati.
L’abbiamo scritto più volte: ciò deriva dalla incapacità del ceto politico di mettere al primo posto nella sua azione dei valori di merito e di responsabilità, secondo i quali i più bravi vanno avanti e gli altri stanno in coda. Per conseguenza, chi assume incarichi di vertice deve avere la responsabilità di fare funzionare la sua struttura e di regolare il proprio personale dipendente in modo tale da far emergere i più bravi, penalizzando o licenziando – ove occorra – inconcludenti, fannulloni e corrotti.
Sono, dunque, i dirigenti pubblici che hanno la responsabilità di far funzionare la pubblica amministrazione. Ma non sembra che ne siano degni.

Perché i nostri brillanti giovani vanno a Singapore, a Schengen, a Osaka, a Londra, a New York, a Cupertino e in tanti altri centri dove vi sono possibilità di lavorare secondo il merito? Perché in quei centri i governi hanno creato condizioni e opportunità che mettono a raffronto preparazione, volontà e capacità in una sana competizione che fa emergere i più bravi.
Ed è questo il motore necessario a sviluppare quelle economie: intelligenze e professionalità che costituiscono una leva fondamentale dell’economia. Quell’economia che progredisce se c’è innovazione e se ci sono cervelli capaci di fare ricerca e applicazione, che si misurano anche attraverso il numero dei brevetti.
La dimostrazione di quanto scriviamo è che i brevetti italiani sono in numero molto basso se commisurato alle economie avanzate. Ciò anche perché in Italia, si investe appena l’un percento del Pil in ricerca pubblica e privata, mentre in moltissimi altri Paesi tale percentuale è almeno doppia.
Dalla ricerca, dalle innovazioni e dalle intelligenze si parte per puntare al progresso di crescita e occupazione.

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