Fare il regionale è meglio che lavorare - QdS

Fare il regionale è meglio che lavorare

Carlo Alberto Tregua

Fare il regionale è meglio che lavorare

martedì 19 Gennaio 2016

Serve una svolta per il futuro della Sicilia

Miliardi di fondi europei non utilizzati, migliaia di pratiche inevase, migliaia di appalti di opere pubbliche indispensabili chiusi nei cassetti, informatizzazione e digitalizzazione all’età della pietra, privilegi di ogni genere, assenza di obiettivi nel lavoro, mancanza di controlli, meritocrazia sconosciuta, inefficienza dominante e via elencando. Sono tutti requisiti della nostra Regione che fa da tappo allo sviluppo e all’occupazione mentre ne dovrebbe essere il motore.
Sappiamo di essere antipatici a elencare queste manchevolezze, pur precisando che vi è una gran parte di dipendenti e dirigenti regionali di grande valore, che dovrebbe essere valorizzata e posta nei luoghi adatti con compiti precisi e tendenti alla crescita.
Invece, nella Regione siciliana vige ancora il motto che vidi qualche tempo fa su una scrivania: lo stipendio è un vitalizio, il lavoro si paga a parte.

Non è che noi ce l’abbiamo coi circa centomila siciliani che percepiscono, direttamente o indirettamente, stipendi e appannaggi diversi dalla Regione. Ce l’abbiamo con i vertici istituzionali, che hanno il compito e la responsabilità di servire i cittadini, facendo funzionare al meglio la macchina burocratica.
È vero che la responsabilità politica è stata separata da quella burocratica, ma sono rimasti pienamente validi i principi secondo cui la politica indirizza e la burocrazia esegue. Se la politica non indirizza, la burocrazia fa quello che vuole, non certo perseguendo l’interesse generale.
In questi decenni, è venuto meno il primato della politica, sacrosanto se essa viene esercitata con spirito di servizio, prendendo decisioni impopolari che avranno, però, effetti positivi nel medio periodo.
Di riforme non se ne parla, di Piani aziendali delle istituzioni non c’è la minima traccia, di Nuclei investigativi affari interni in funzione anticorruzione nemmeno l’ombra, di trasparenza nei siti web ce n’è poca. Tutto ciò costringe i siciliani a fare i viaggi della speranza a Palermo – anziché dialogare dalle proprie case o dai propri uffici -, alimenta le mazzette, fa crescere la discriminazione fra cittadini, secondo cui prevalgono gli amici degli amici su quelli bravi.
 

Fare il regionale è meglio che lavorare. Eppure i dipendenti percepiscono un terzo in più di stipendio rispetto ai loro colleghi statali, godono di pensioni più ricche, riducono informalmente il loro orario di lavoro, si assentano per malattie per periodi molto più lunghi della media nazionale, vi è un numero di beneficiari della cosiddetta Legge 104 (assistenza ai parenti bisognosi) che è fuori da ogni limite.
Nessuno controlla, nessuno impedisce abusi, nessuno si preoccupa di far funzionare i servizi, nessuno ritiene moralmente ineccepibile fare il proprio dovere.
Eppure, lo ripetiamo, vi sono tanti dirigenti perbene e capaci. Perché non si fa una selezione fra questi ultimi e quelli che stanno dalla parte opposta? Chi dovrebbe fare tale selezione e compilare le relative graduatorie? La risposta è semplice: quegli uomini politici che hanno responsabilità istituzionali.

Ogni volta che si fa un ragionamento sembra di seguire il gioco dell’oca: si va avanti per tornare indietro. Questo accade perché non c’è un indirizzo univoco, anzi non c’è nessun indirizzo. E non c’è nessun indirizzo perché chi dovrebbe darlo, cioè il presidente della Regione, non sa da dove cominciare per fare il proprio mestiere. Parla e straparla, ma di fatti non se ne vedono.
Lo accusano i macro dati di Pil
(-14% in sette anni), di disoccupazione (il doppio della media nazionale), di indebolimento del sistema industriale, della mancata crescita delle imprese agricole, della scarsa innovazione che impedisce lo sviluppo.
La responsabilità non è soltanto del ceto politico, ma si trova all’interno della Classe dirigente, che continua a comportarsi come le tre scimmiette.
Occorre una svolta, ora e subito. Così non si può più andare avanti e molti di noi, che hanno l’orgoglio di essere siciliani, soffrono nel vedere la propria terra fanalino di coda in Europa, pur essendo ricchissima di tesori naturali, che però non vengono messi a profitto.
Cambiare si può, cambiare si deve, senza perdere neanche un minuto.

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