Camere di commercio, battaglia e riordino - QdS

Camere di commercio, battaglia e riordino

Rosario Battiato

Camere di commercio, battaglia e riordino

mercoledì 10 Febbraio 2016

La riforma non è nel “Pacchetto Madia”. Prevede il taglio del diritto annuale fino al 50% e l’accorpamento delle sedi. Riduzione anche in Sicilia grazie a un processo cominciato con i decreti del Mise dello scorso anno

PALERMO – Il riordino delle Camere di commercio è uscito dal “Pacchetto Madia” e l’esame del decreto verrà ripreso soltanto successivamente. La riforma ridurrebbe il numero e le competenze degli enti camerali nell’ottica di una razionalizzazione richiesta da più parti, ma che probabilmente dovrà essere meglio valutata e ragionata. C’è ancora tempo, ma è indispensabile trovare delle soluzioni anche per il sistema camerale isolano.
Lo stato di agitazione del sistema camerale è rappresentato da un comunicato sindacale all’apertura di diverse home page. È il caso della Camera di commercio di Pisa che precisa come “nei prossimi giorni il consiglio dei ministri varerà il decreto legislativo di riordino del sistema delle Camere di commercio” e secondo le indiscrezioni intenderebbe “spogliare le Camere di buona parte delle loro funzioni”, tra cui il sostegno ai confidi e i contributi e finanziamenti alle imprese, corsi di formazione, servizio di marchi e brevetti. La bozza del decreto, che dovrebbe attuare la delega contenuta nella cosiddetta Legge Madia, prevede la riduzione degli enti da 105 a 60 e il taglio diritto annuale a carico delle imprese fino alla misura del 50% secondo un percorso progressivo nel corso dei prossimi anni. Riduzione, ovviamente, anche nel taglio del personale che, nel caso degli accorpamenti, raggiungerà anche la quota del 25% (a rischio circa mille posti).
Al momento, secondo quanto circolato in questi giorni, l’esame del decreto è stato comunque rinviato a data da destinarsi.
Il caso è vecchio e l’accelerazione di questo ultimo mese è stata lanciata anche dall’assemblea sit-in indetta dalle segreterie regionali di Cgil, Cisl e Uil del 29 gennaio – i dipendenti siciliani hanno protestato davanti alla sede dell’assessorato alle Attività produttive – e dalle contemporanee assemblee che si sono tenute nelle camere isolane.
In Sicilia il processo per la creazione della “Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Catania, Ragusa e Siracusa della Sicilia orientale” è stato avviato, su proposta delle Camere di commercio interessate e d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, col decreto del 25 settembre 2015 che ha interrotto le procedure di rinnovo dei rispettivi consigli nell’ottica di una razionalizzazione e contenimento dei costi. Si trattava di “un’anticipazione di uno degli aspetti del processo di riforma avviato dal Governo con la previsione già operativa di progressiva riduzione del diritto annuale a carico delle imprese”.
 
Stesso discorso per l’accorpamento di Agrigento, Caltanissetta e Trapani (decreto 21 aprile 2015), Palermo ed Enna (decreto 17 marzo 2015). Ancora sospesa la questione Messina: lo scorso ottobre l’intervento di Gianpiero D’Alia che, tramite un’interrogazione, aveva chiesto al ministro Guidi una particolare attenzione per la Camera peloritana dopo che i commissari ad acta di Catania, Siracusa e Ragusa avevano deliberato per l’accorpamento, stabilendo la sede del nuovo sistema nel centro etneo.
Nel febbraio dello scorso anno, proprio nei giorni di discussione all’Ars della riforma regionale, l’Ansa aveva diffuso un’agenzia con tutti i dati della relazione tecnica in allegato al disegno di legge di riforma riportando i dati del disavanzo di molte Camere (a Messina nel 2013 circa 469mila euro) e degli stipendi record dei dirigenti (fino a 265mila euro) a fronte di un patrimonio complessivo di circa 40 milioni di euro.
Il governo nazionale si è intestato il riordino delle Camere di Commercio, mentre la Regione siciliana che avrebbe voluto salvaguardare i beni delle Camere (a tal proposito c’era il ddl 905/A fermo in aula dal 14 gennaio del 2015) al momento assiste da spettatore alla riforma nazionale.

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