Università di Palermo, calo delle immatricolazioni - QdS

Università di Palermo, calo delle immatricolazioni

Gaspare Ingargiola

Università di Palermo, calo delle immatricolazioni

venerdì 19 Febbraio 2016

Il calo delle iscrizioni è del 10%. Quasi uno studente su tre abbandona la triennale prima di laurearsi. Tra i dati positivi, il rettore Micari ha rivendicato la diminuzione dei fuori corso

PALERMO – L’Università di Palermo si scopre in crisi. Non attrae i maturandi del liceo e perde strada facendo una buona fetta dei suoi iscritti. Le immatricolazioni, infatti, sono in calo del 10 per cento (appena 7.770 per l’anno didattico 2015/2016) e quasi uno studente universitario su tre abbandona la triennale prima di laurearsi per trasferirsi in un altro Ateneo.
Sono solo alcuni dei dati forniti dal rettore Fabrizio Micari durante la “Giornata della Trasparenza” nell’ambito della “Welcome Week”, la settimana di orientamento in programma fino a venerdì e destinata agli studenti degli ultimi anni delle scuole superiori, a cui si sono iscritti oltre dodicimila ragazzi e ragazze. Al suo fianco il direttore generale Mariangela Mazzaglia, la professoressa Alida Lo Coco, delegata al coordinamento del Centro di Orientamento e Tutorato e il professore Francesco Paolo La Mantia, pro rettore alle politiche di sviluppo.
Il calo delle iscrizioni è talmente preoccupante che Micari l’ha definito “insostenibile”, anche perché impedisce di accedere ai meccanismi premiali dei finanziamenti statali. Senza contare che, come si diceva, tra il 25 e il 30 per cento degli studenti abbandona la triennale per completare il percorso di studi presso un altro ateneo. Percentuali che migliorano con la magistrale: dopo la triennale il 55-60 per cento degli studenti prosegue a Palermo, il 15 per cento sceglie di concludere questo percorso fuori sede e il restante 30 per cento inizia a cercare lavoro.
“Questi dati – ha detto il rettore – presentano luci e ombre che dobbiamo ammettere serenamente e di cui dobbiamo essere consapevoli. Li sto presentando per una questione di trasparenza. In questo momento l’Università di Palermo è questa e da queste cifre dobbiamo ripartire per lavorare e crescere uniti. La mia è una pacifica e gioiosa chiamata alle armi”.
“La gente – ha aggiunto – non crede più nel valore della laurea come ascensore sociale. Le immatricolazioni sono in calo in tutto il Mezzogiorno, soprattutto tra le fasce meno abbienti della popolazione che non vedono nello studio una prospettiva certa”.
Per rendere l’Ateneo del capoluogo più attrattivo “stiamo rivedendo la nostra offerta formativa – ha spiegato Micari -, puntando su corsi che possono avere dei collegamenti con il territorio: dall’ingegneria biomedica ai corsi di tecnologia agroalimentare alla valorizzazione dei beni culturali. Abbiamo avviato anche un miglioramento complessivo della qualità dei servizi a partire dalla comunicazione esterna delle nostra attività”.
Anche guardando al bilancio c’è poco da stare allegri. Dopo anni di revisione della spesa i conti sono in ordine e c’è un margine – per la verità piuttosto esiguo – per gli investimenti. I ricavi ammontano a 234 milioni di euro, per lo più derivanti dal fondo di finanziamento ordinario dello Stato di 196 milioni. I costi ammontano a 226 milioni di euro e sono assorbiti per quasi l’85 per cento dal personale, un altro 11,3 per cento se ne va in spese di funzionamento e per le strutture decentrate si spendono 4 milioni. Restano appena 2,7 milioni per gli interventi che non si possono più rimandare come la manutenzione di edifici e aule.
Ci sono però anche numeri positivi. Micari ha rivendicato “l’aumento delle risorse per i dottorati di ricerca e la diminuzione dei fuori corso: prima si laureava in tempo la metà degli studenti, adesso i due terzi”. La tassazione ordinaria, inoltre, si è mantenuta al di sotto del limite di legge del 20 per cento in rapporto al fondo di finanziamento ordinario, producendo un gettito di 34 milioni. “Una percentuale che molti atenei non rispettano – ha sottolineato il rettore – mentre noi l’abbiamo confermata. Non dimentichiamo che due anni fa avevamo la tassazione più cara d’Italia dopo l’Università della Basilicata”.
E per il futuro “punteremo sull’orientamento, sulla ricerca, sull’internazionalizzazione, sul tutorato, sui servizi. Una magistrale attira se ha un buon collegamento col mondo di lavoro, se prevede stage e collegamenti internazionali”.

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