Burocrazia, regole uguali per tutti - QdS

Burocrazia, regole uguali per tutti

Carlo Alberto Tregua

Burocrazia, regole uguali per tutti

sabato 27 Febbraio 2016

Stato, Regioni, Comuni

Nel marasma generale della burocrazia italiana, a tutti i livelli, non si riesce a trovare il bandolo della matassa per fare chiarezza. Con la conseguenza che gli italiani sono frastornati da regolamenti e circolari, che dispongono diversamente, a seconda che ci si rivolga allo Stato, alle Regioni e ai Comuni. Non solo, ma i regolamenti delle singole Regioni e dei singoli Comuni differiscono vistosamente fra essi, con la conseguenza che per la stessa fattispecie i cittadini si disorientano, a seconda dell’ente a cui si sono rivolti.
In un Paese civile non è possibile che per la stessa concessione o per la stessa autorizzazione, le procedure siano diverse a seconda dell’ente che le rilascia. Insomma, gli ottomila campanili sono diventati repubbliche indipendenti, come le venti Regioni e le due Province autonome di Trento e Bolzano.
È ormai anacronistico che esistano Regioni e Province autonome, le quali hanno utilizzato l’autonomia come scudo per inauditi privilegi a favore di caste di ogni genere.

È inaccettabile che la Regione Valle d’Aosta e le Province di Trento e di Bolzano ricevano trasferimenti dallo Stato per diecimila euro pro capite; è altrettanto inaccettabile che la Regione siciliana mantenga centomila tra dipendenti e dirigenti, molti dei quali non lavorano affatto pur percependo ogni mese il loro stipendio.
Ancor più inaccettabile è che vi siano consiglieri regionali, come quelli siciliani, che costano oltre ventimila euro al mese cadauno, mentre i consiglieri lombardi costano la metà.
Vi è poi una questione di funzionalità dell’amministrazione pubblica e cioè che molte leggi dello Stato vengano rifiutate dalle Regioni in nome della loro autonomia, accentuando così la disparità tra cittadini, in palese violazione dell’art. 3 della Costituzione.
Il guaio citato riguarda le cosiddette materie la cui competenza è in  concorso fra Stato e Regione, con la conseguenza di lunghissimi percorsi burocratici per stabilire chi deve decidere cosa.
La riforma costituzionale, non ancora approvata, ha previsto che su una serie di materie in concorso la competenza diventi esclusivamente dello Stato, ma resta alle Regioni ordinarie, e soprattutto a quelle speciali, facoltà di intervento su materie di ordine generale.
 

La Costituzione dice che l’Italia è una e indivisibile, ma poi la verità è che essa è parcellizzata nelle Regioni e nei Comuni, che fanno quello che vogliono senza seguire un disegno generale che contemperi la necessità di equità fra tutti i cittadini.
Non vi è equità quando la sanità costa, per esempio, uno pro-capite in Toscana e due pro-capite in Sicilia; non vi è equità quando tutte le città del Veneto sono collegate da autostrade, da reti ferroviarie moderne e veloci, mentre oltre la metà dei comuni siciliani non sa cosa siano né autostrade, né reti ferroviarie efficienti e veloci.
Renzi esalta la crescita del Pil 2015 nonostante sia stata bassa, ma i meridionali si lamenteranno ancor di più non appena l’Istat comunicherà le variazioni del Pil regione per regione. Induttivamente, possiamo affermare che al segno più delle otto regioni del Nord corrisponderà il segno meno di quelle meridionali, come accaduto negli ultimi anni. Sarà inutile ogni lamentazione postuma.

L’Italia va ordinata, sia condensando la miriade di leggi, di decreti e di regolamenti in testi semplificati e di facile applicazione, che valgano ovunque, da Cogne a Pachino.
L’Italia va ordinata con una burocrazia di ogni livello, che dialoghi con i cittadini in tempo reale, con software compatibili e procedure unificate, in modo che gli italiani si sentano protagonisti della vita pubblica e privata, in ogni luogo del Paese, senza alcuna distinzione geografica, utilizzando sempre e comunque procedure digitalizzate.
Perché ciò avvenga è necessaria una Classe politica preparata, capace di guidare le Istituzioni all’insegna dell’interesse generale.
La Cina di 1,3 miliardi di abitanti è governata da appena da tremila persone, con un organo centrale composto da una decina di leader. Non vi sono libertà, ma il grande Paese orientale progredisce del sette per cento l’anno e nel 2030 il suo Pil forse supererà quello statunitense, oggi primo al mondo.
Un regime non è auspicabile, ma neanche l’attuale caos. Perché con il caos l’Italia non potrà rimettersi a crescere.

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