Hotspot e Cie, il Senato boccia le strutture isolane - QdS

Hotspot e Cie, il Senato boccia le strutture isolane

Chiara Borzi

Hotspot e Cie, il Senato boccia le strutture isolane

mercoledì 02 Marzo 2016

Sotto accusa il Centro di Lampedusa, inadeguato “a garantire condizioni dignitose”. Rapporto della Commissione straordinaria dei diritti umani

CATANIA – Le carenze dei Cie e gli hotspot siciliani sono state messe nero su bianco dal rapporto sui centri di accoglienza ed espulsione redatto dalla Commissione straordinaria per la Tutela e la Promozione dei Diritti Umani del Senato. La Sicilia continua a svolgere male un compito fondamentale come quello d’identificazione dei migranti, necessario a decretarne la permanenza sul nostro territorio o l’espulsione, e questo elemento contribuisce alla crisi di un intero sistema.
I Cie – nati nel 1998 con l’approvazione della legge Turco-Napolitano – attualmente attivi in Italia sono sei, situati a Bari, Brindisi, Caltanissetta, Crotone, Roma, Torino. Fino al 31 dicembre del 2015 sono stati sette, solo dopo quella data l’ex centro di espulsione di Trapani è diventato un hotspot. All’interno dei Cie i migranti possono rimanere trattenuti per un massimo di 90 giorni, la media di permanenza è comunque di 25,5 giorni. 
Secondo quanto scritto dalla Commissione nel proprio rapporto, “sono due le novità principali emerse nel corso del 2015 in merito al trattenimento di persone straniere nei centri di identificazione e di espulsione in Italia: l’aumento del numero dei Cie e l’attivazione dell’approccio hotspot previsto dall’Agenda europea sulle migrazioni del maggio 2015”. Quest’adesione ha portato all’apertura di nuovi hotspot collocati nei luoghi dello sbarco e in Italia, a gennaio 2016, sono stati dichiarati attivi quelli di Lampedusa, Trapani e Pozzallo. Sotto la lente d’ingrandimento della Commissione diritti Umani è finita la struttura di Lampedusa, operativa da poco più di 5 mesi. Il centro di contrada Imbriacola può ospitare 350 migranti, ma la lunga sosta a cui sono costretti i nuovi arrivati crea diverse criticità. Quest’ultime sono state evidenziate e fatte conoscere dalla sindachessa di Lampedusa, Giusi Nicolini, tramite una lettera inviata al ministro degli Interni Angelino Alfano.
 
“Sia le caratteristiche strutturali del Centro, sia gli oneri previsti dal Capitolato d’affidamento del servizio, non sono idonei e sufficienti a garantire condizioni dignitose di accoglienza a persone che vengono trattenute da oltre 30 giorni e che potrebbero essere trattenute addirittura a tempo indeterminato – scrive Nicolini nel testo riportato nella relazione della commissione senatoriale – Ciò è anche dimostrato dal fatto che indumenti e scarpe sono forniti dalla Parrocchia e dalla comunità, dal fatto che oltre 135 minori non accompagnati sono lasciati liberi e senza alcuna tutela in qualunque ora del giorno e della notte, che qualche ospite viene sottoposto a cure mediche solo su richiesta di volontari lampedusani che vengono casualmente a conoscenza delle specifiche problematiche di salute”. 
A Lampedusa sono arrivati 4.597 cittadini stranieri e, come anticipato, ne sono stati registrati e identificati 3.234. Tra queste, 870 provenienti dall’Eritrea, 848 dalla Somalia, dalla Nigeria 711, dal Marocco 535, 235 dal Sudan, 222 dal Gambia, Mali 133, Guinea 130, Siria 129, e numeri più bassi da altri paesi. I dati fanno riferimento al periodo che va dal 1 settembre 2015 al 13 gennaio 2016. Al programma di ricollocamento hanno avuto accesso 563 persone, che corrispondono a circa il 12% di quelle sbarcate. 279 sono già state trasferite nei paesi di destinazione, 198 sono in attesa di partire e altre 86 hanno avviato la procedura i primi giorni di gennaio e si trovano presso l’Hub di Villa Sikania.
 
Come previsto in sede europea si tratta di eritrei (nella maggior parte), insieme a siriani e iracheni. Del totale dei profughi sbarcati a Lampedusa nel periodo di riferimento, 502 persone, circa il 10%, hanno manifestato la volontà di chiedere asilo e sono stati inseriti nel circuito nazionale dell’accoglienza. Questo dato conferma probabilmente la difficoltà tutta siciliana e italiana di non essere in grado di determinare l’identità ma anche lo status del migrante e, dunque, le motivazioni che lo hanno spinto ad andare via dal proprio paese.
“Il rischio – si legge nel rapporto della Commissione per la tutela dei Diritti Umani – è che il tempo a disposizione, unitamente all’ingente mole di lavoro, incidano negativamente su tali procedure portando a una cernita sommaria di chi può e chi non può fare ingresso in Europa”.

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