"Al centro dell'impresa vi sia la persona" - QdS

“Al centro dell’impresa vi sia la persona”

Carlo Alberto Tregua

“Al centro dell’impresa vi sia la persona”

giovedì 03 Marzo 2016

Il Papa ricorda una ovvietà

Il Papa ha esortato la delegazione imprenditoriale ricevuta così: “Al centro dell’impresa vi sia la persona umana”. Si tratta di una ovvietà perché non vediamo chi possa essere contrario al fatto che l’impresa sia gestita da un imprenditore e in essa  lavorino delle persone umane.
Si capisce il sottinteso del Papa: tutti devono essere trattati con equità e, soprattutto, ognuno deve fare il proprio dovere prima di reclamare diritti. Una regola etica di tutti i tempi che in Italia è dimenticata da tutti.
L’impresa è una organizzazione di risorse umane, economiche e finanziarie che ha lo scopo di realizzare un reddito. Dunque il fine è lucrativo. Diversa è la definizione di azienda che invece è una organizzazione di risorse umane e di beni per produrre servizi “senza scopo di lucro”.
Pertanto, sono aziende tutti gli enti pubblici i quali devono possedere i requisiti di efficienza e funzionalità per produrre i servizi necessari ai cittadini della migliore qualità possibile e spendendo il meno possibile.
 
Dunque, il Papa mette in primo piano la persona umana dentro l’impresa. Come potrebbe essere diversamente? Una impresa nella quale non si rispettassero i propri dipendenti nel medio e lungo periodo non andrebbe avanti perché è solo col coinvolgimento delle risorse umane di qualunque livello che una impresa può prosperare e produrre ricchezza.
È chiaro che bisogna distinguere tra imprese grandi, medie, piccole e micro. Le filosofie gestionali sono ovviamente diverse, ma hanno in comune il dovere del rispetto di chiunque lavori al loro interno.
Il richiamo del Papa non è stato un rimprovero alla classe imprenditoriale, ma ha voluto rammentare che laddove vi siano squilibri e dove manca il rispetto non vi può essere crescita sana, ma decrescita o un avanzamento malato.
In Italia vi è un patrimonio unico nel mondo occidentale, cioè sette milioni di partite Iva di cui cinque milioni di imprese e due milioni di professionisti. Questo reticolo è stato la forza ed il traino del nostro Paese ed ha costituito una sorta di linea Maginot, una resistenza che oggi è la base per ricominciare a crescere.
Tuttavia, i governi degli ultimi 25 anni hanno vessato i cinque milioni di imprese mettendo balzelli di ogni tipo e scaricando su di esse adempimenti sempre maggiori che comportano costi elevati di amministrazione.
 
Non solo è gravoso pagare tasse e imposte, con la pressione fiscale ufficiale prossima al 44%, mentre quella reale è superiore di almeno 10 punti. Ma tutte le incombenze che lo Stato mette a carico delle imprese rendono ancora più gravoso il loro esercizio.
Il Papa queste cose non le sa; ha il dovere di ricordare i principi etici, ma nel richiamo agli imprenditori non ha fatto un pari richiamo ai sindacati, che operano per fare abbassare continuamente la qualità delle prestazioni, lottano contro la meritocrazia, impediscono l’innovazione: insomma sono conservatori.
Al contrario, il mondo del lavoro ha bisogno di rinnovarsi continuamente per essere competitivo nel mercato mondiale e sostenere la concorrenza dal basso, proveniente dai  Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica).
Se la persona umana sta al centro dell’economia, non solo dell’impresa, vi può essere uno sviluppo equilibrato ed equo e una distribuzione della ricchezza proporzionata a meriti e bisogni. è ovvio che chi non è fisicamente o mentalmente capace di provvedere a se stesso debba essere assistito dalla Comunità.   
 
La questione è di difficile maneggevolezza, perché distinguere i bisogni veri da quelli fittizi è piuttosto difficile; solo una burocrazia efficiente potrebbe riuscirvi. Ma in Italia non c’è e quindi sotto il mantello dei bisogni si nascondono moltissimi parassiti, che volgarmente attingono alle casse pubbliche pur non avendone né bisogno né diritto.
Quando si definisce un imprenditore mafioso, si cade in una aberrazione lessicale: infatti il mafioso non può essere imprenditore e l’imprenditore non può essere mafioso. Quest’ultimo agisce con la forza bruta, con la minaccia, con l’aggressione; l’imprenditore agisce con la sua capacità, osserva le regole economiche e quelle etiche. Diversamente non è un imprenditore.
È chiaro che al centro dell’impresa vi è la persona umana, con tutte le sue sfaccettature ed esigenze, ma soprattutto con la consapevolezza dei doveri verso gli altri e verso se stessa.
Per conseguenza, lo Stato ha il dovere di controllare che tutto si svolga all’insegna delle regole di equità, punendo chi sgarra. Sempre e comunque.

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