Referendum senza effetto Berlinguer - QdS

Referendum senza effetto Berlinguer

Carlo Alberto Tregua

Referendum senza effetto Berlinguer

martedì 19 Aprile 2016

Renzi vince, ora le amministrative

La morte di Gianroberto Casaleggio è stata celebrata su tutti i mezzi di comunicazione come se si fosse trattato di un capopartito. E forse lo era, tanto che qualcuno ha rievocato la morte di Enrico Berlinguer, mentre teneva un comizio sul palco, il 7 giugno del 1984 in Piazza della Frutta, a Padova. In quell’occasione vi fu un’ondata emotiva che portò il Partito comunista al massimo storico del 33,3%, massimo storico non ancora superato, perché il 40 per cento preso da Renzi alle Europee non si riferisce alle elezioni politiche.
Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che la morte di Casaleggio avrebbe influenzato il referendum di domenica 17 aprile, per cui il M5s aveva preso una posizione ben precisa: andare a votare e votare “Si”. Ma l’effetto Berlinguer non c’è stato, cosicché il referendum non è diventato valido, avendo ricevuto appena il 32,15% di cittadini che sono andati a votare.

E così, il referendum sulle trivelle, promosso dal presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, insieme ad altre otto Regioni, è stato un fallimento, perché gli italiani, pur non essendo andati al mare, non sono andati nemmeno alle urne, almeno per i due terzi degli aventi diritto al voto.
Il danno c’è stato, perché comunque lo Stato ha dovuto spendere 350 milioni per una partita assolutamente inutile e falsata da tanti politici in malafede al solo scopo di accreditarsi come i paladini di una questione inconsistente.
A proposito della diatriba, se andare a votare oppure no, qualcuno ha scomodato il secondo comma dell’art. 48 della Costituzione: “Il voto è personale e uguale, libero e segreto, il suo esercizio è dovere civico”. Ma l’art. 75 della Costituzione, che istituisce il referendum, prevede che esso sia valido qualora la proposta venga approvata dalla maggioranza degli aventi diritto. Quindi, il diritto all’astensione è, parimenti, di rango costituzionale.
Il referendum è un’importante forma di esercizio diretto della democrazia. Ma in Italia, dopo le importantissime battaglie vinte sul divorzio (1974) e sull’aborto (1981), non sempre ne è stato fatto un uso diligente. Peraltro, il precedente referendum sull’acqua (2011), il cui quorum costitutivo è stato raggiunto e che ha visto prevalere i “Si”, ha portato un risultato negativo: il deperimento delle reti idriche e il peggioramento del servizio.
 

Il dogma secondo cui l’acqua è gratuita è pacifico, ma affinché essa parta dal sottosuolo e arrivi fino ai rubinetti, occorrono servizi organizzati e funzionanti, cioè imprese capaci di organizzarli. Ora, invece, il servizio idrico è esercitato in gran parte da aziende pubbliche che, notoriamente, sono inefficienti e fanno pagare molto di più l’acqua ai cittadini.
Tornando al referendum sulle trivelle, anche in questo caso la demagogia è stata densa e palpabile, ma gli italiani non hanno abboccato all’amo, neanche per effetto della morte del leader pentastellato.
Ora la partita di Renzi si sposta sulle amministrative del 5 e 19 giugno, in cui si terranno le elezioni per 1.370 Comuni sugli 8 mila italiani.
Il Governo ha già dichiarato che l’esito non avrà refluenze sulla politica nazionale. Tuttavia, si deve tener conto che l’esito in città importanti come Milano, Roma, Napoli e Torino darà significato anche politico che costituirà un esame per l’attuale governo. Una sorta di pre-indicazione per la battaglia cruciale di ottobre in cui il popolo italiano, chiamato alle urne, dovrà ratificare o meno la legge costituzionale relativa alla riforma della Carta.

Mentre tutto questo accade, il nostro Paese è avvolto in una nebbia che dura da trent’anni e che tiene bloccata l’economia e in naftalina lo sviluppo, per cui la ripresa stenta a decollare e si è fermata allo 0,8 percento nel 2015, con una previsione di modesto incremento (1,2) nel 2016.
L’Italia è preda di corporazioni e di gruppi di potere che con i loro vassalli continuano a succhiare il sangue dei cittadini, alimentando privilegi di ogni genere, anche sotto gli occhi di tutti, come quelli dei parlamentari con i loro vitalizi.
Il peggio è che in questo quadro il Sud è fortemente penalizzato, perché non ha infrastrutture, con una logistica arretrata che frena il movimento di beni e persone.
La promessa di Renzi che “il Ponte si farà” sembra ricordare il detto “campa cavallo, che l’erba cresce”. Ma mentre l’erba cresce, il cavallo muore. E così, mentre si aspetta che l’annuncio di Renzi diventi concreto, il Sud muore.

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